venerdì 30 ottobre 2009

Marrazzo vale più della nostra vita?



Non mi stupisco dei cattivi comportamenti, me li aspetto.

L’ultimo weekend verrà ricordato per due eventi che hanno assorbito l’attenzione di tutta (o quasi) l’Italia. Le primarie del PD, per scegliere il segretario nazionale, e lo scandalo sessuale che ha travolto Piero Marrazzo, governatore del Lazio.

Del primo evento sappiamo già tutto, Pierluigi Bersani segretario come da copione, del secondo invece si aspettano sviluppi, nuove informazioni e probabilmente nuovi personaggi che verranno tirati dentro a questo squallido vortice mediatico-sessuale.

La mia posizione su questo scandalo? Nessuna, o meglio niente contro Marrazzo, tranne una questione morale e il solito predicar bene e razzolar male. L’aspetto peggiore è parlare di sesso quando il reato vero è di quei 4 carabinieri che ricattano un funzionario pubblico, ovvero 4 difensori della legge che infrangono la legge stessa. Ah bella voglia il Ministro La Russa a dire che comunque sono stati denunciati e fermati da altrettanti carabinieri, perché ormai la mela è marcia, ed è marcia ai livelli più alti. La sfera privata è del tutto ininfluente, può essere vissuta come si preferisce, basta che non mi si venga a fare la morale. Ritengo molto, ma molto più grave un politico trovato a usare droghe, che beccato a letto con un trans.

Ma non è nemmeno questo il punto dell’articolo, perché come sempre non riusciamo a guardare la luna e ci fermiamo al dito. Mi spiego, lo scandalo Marrazzo da sabato occupa pagine e pagine dei principali quotidiani, quando invece le navi affondante attorno a tutta la penisola italiana contenenti tonnellate di fusti radioattivi, si meritano poche pagine magari poco visibili. L’aspetto ancora peggiore è che in questi articoli si vedono raramente dati sulla radioattività, sull’aumento di tumori e malattie gravi nelle zone dove queste navi sono inabissate (ad esempio in Campania). Non si va a vedere (se non in rari casi) di chi è la proprietà di quella nave, cosa trasportava, chi c’era a bordo, e ancora quali aziende producono scarti nocivi.

Da alcune intercettazioni e da alcuni confessioni di pentiti, si parla diverse navi fatte affondare di proposito, c’è che dice 30 chi 180. Il numero in se non è rilevante, in quanto ne basta anche una sola per creare un disastro ambientale.

Gli aspetti da considerare in questa storia sono diversi, provo a sintetizzarli qui sotto:

- inabissare una nave che trasporta scorie nocive, radioattive e altamente inquinanti comporta la partecipazioni di diverse figure, dal capitano, a tutto il personale di bordo, a chi controlla il carico, fino ad arrivare ad ambienti mafiosi. Non può essere l’opera di un singolo, ma è una rete ben radicata, infiltrata fino ai piani alti.

- Le scorie che si trovano nei nostri fondali inquinano pesantemente l’acqua, e di conseguenza tutto il pesce che poi arriva nelle nostre tavole. Alla faccia che il pesce fa bene.

- Nelle zone più contaminate troviamo percentuali di malattie mortali molto più elevante che in altre zone

- Il turismo, se questa faccenda diventa di dominio pubblico ne risentirà pesantemente (anche se è forse l’aspetto meno pressante di tutta la storia)

È una emergenza nazionale, come è stato il terremoto in Abruzzo o la valanga in Sicilia, anzi forse è addirittura peggio perché interessa praticamente una larghissima fetta della nostra bella Italia, eppure molto di questa faccenda rimane ancora insabbiato e oscuro.

Se Marrazzo dopo questa vicenda che lo ha investito nel privato, potrà tornare ad una vita normale e alle sue vecchie abitudini, per noi dopo questa vicenda delle navi affondate, non sarà più nulla come prima. Il nostro ambiente, il nostro cibo, la nostra acqua, la nostra salute e la nostra economia saranno stravolte, in peggio chiaramente, e molto probabilmente nulla sarà più come prima.

Ecco perché non provo meraviglia o stupore per questi cattivi comportamenti, bisogna aspettarseli e poi agire per estirparli.

sabato 17 ottobre 2009

Giornata mondiale contro la povertà


Oggi, 17 ottobre 2009, è la giornata mondiale contro la povertà. Definire la povertà, l’indigenza è sempre molto complicato, perché ogni singola persona vive e percepisce questo stato in maniera diversa. Esiste una povertà economica, una povertà sociale e una culturale, che a mio avviso sono tre aspetti strettamente legati tra di loro.

Partendo dalla povertà economica, che volenti o nolenti, sta toccando tutti, o in prima persona o tramite persone vicine a noi, c’è un aspetto molto grave e complesso che sta cambiando il nostro modo di interpretare e vivere il lavoro. Per decenni, almeno qui in Veneto, l’idea è stata quella di lavorare più degli altri, senza preoccuparsi di molto altro. Il lavoro dava, e da tutt’ora, dignità, speranza, progetti e un futuro migliore, ma ora con questa crisi e la precarizzazione, il lavoro sta diventando quasi uno strumento di ricatto. Se una persona esce dal mondo del lavoro, nel nostro sistema è un uomo inesistente, praticamente morto, e ogni giorno sentiamo e subiamo notizie di aziende che chiudono, che si trasferiscono all’estero e che lasciano a piedi impiegati e operai che all’età di 40 o 50 anni fanno seriamente fatica a reinventarsi un ruolo diverso. Senza un lavoro continuativo, non hai accesso ai servizi, una banca non ti fa credito, e anche la vita perde di qualità. Il nostro modello economico vuole avere sempre più precariato, ma senza adeguare lo stato sociale e il rapporto con gli enti privati (banche o altri servizi minimi).

La povertà sociale e culturale sono poi le due facce della stessa medaglia, perché una società più povera è anche culturalmente più bassa. La perdita di lavoro, la precarizzazione, i debiti contratti, portano a poco a poco a fenomeni di chiusura da parte della gente, pressati da un modello che invece ci impone di consumare e spendere (la politica come unico obiettivo della crisi ha quello di rilanciare i consumi), ma è ovvio che spendere vuol dire prima guadagnare e lavorare, che di questi tempi è molto difficile. Moltissime statistiche ufficiali vi diranno che negli ultimi anni gli stipendi dei manager sono schizzati alle stelle, e invece il lavoro dipendente ha visto una perdita progressiva del potere di acquisto. Un capitalismo che invece di allargare il benessere, lo restringe a fasce di popolazione sempre più esigue, e crea dei meccanismi perfidi che rendono l’acqua un bene commerciale e che ci dice che il biodiesel è una fonte energetica rinnovabile, andando a brucare tonnellate di mais e soia che potrebbero essere utilizzate per sfamare milioni di persone. Ogni volta che viene perso un posto di lavoro, significa che quella persona non sarà più interessata alla vita sociale, perché completamente assorbita nella ricerca di un nuovo impiego, e quindi le lotte si condurranno in proprio, cercando appoggio tra le persone di cui ci fidiamo, quando invece mettere in comune i problemi è il modo migliore per cambiare e uscire da situazioni di degrado.

Una povertà sociale e culturale porta poi a movimenti e modelli xenofobi e razzisti, come la società ci sta mostrando negli ultimi periodi, e una povertà sociale porta pure i nostri politici a non essere un grado di formulare e votare una legge contro l’omofobia. Nasce e si alimenta la paura del diverso, dell’extracomunitario che ci ruba il lavoro, o che ci ruba il posto in ospedale.

Oggi ho letto il Giornale di Vicenza, e ho letto che la Fao sta parlando di emergenza alimentare e di povertà, perché in tutti e cinque i continenti, i poveri e chi perde il lavoro sono in aumento. Si parla di 1 miliardo e 200 milioni di persone che vivono in estrema povertà. Fa riflettere questo dato, perché visto quello che succede in giro per il mondo con questa voglia di esportare la democrazia, il progresso e il consumo, le cifre ci stanno dicendo che avviene esattamente in contrario. Succede che la gente è più povera, più insicura. La povertà quindi, è intrinseca al nostro sistema economico-sociale, che vogliamo esportare e far diventare globalizzato. La paura (mia) è che più spingiamo sull’acceleratore del progresso e del consumo, e più dovremo abituarci a combattere la povertà, l’indigenza e la manza di mezzi e idee per trovare una alternativa

E la cosa peggiore di tutte è che appunto non sembra esistere una via diversa, una nuova strada da seguire, ma dobbiamo ricordarci che la speranza è sempre l’ultima a morire. Nella giornata della povertà quindi non vorrei solo vedere e sentire i soliti discorsi sulla fame in Africa e in Sud America, ma vorrei qualcuno che facesse una analisi schietta e sincera sul nostro modello socio-economico, chiedendosi se questo è il migliore al mondo o se ne esistono altri per permettere a 1 miliardo e duecento milioni di persone di vivere e diventare persone migliori.

Chiudo con un proverbio africano che dice: L’ABBONDANZA DIVIDE IL POPOLO MOLTO PIU’ DELLE PRIVAZIONI.

mercoledì 14 ottobre 2009

Un'ora....


Un’ora è bastata per farmi scappare, perché molte domande affiorassero nei miei pensieri, per farmi veder in maniera limpida la follia dei nostri tempi e del nostro sistema consumistico. Senza cadere nella retorica o in quelle analisi critiche da ben pensanti, vi riporto un “normale” sabato passato dentro ad un centro commerciale, ma non un sabato intero, ma appunto un’ora, un’ora solo.

Doveva essere solo una velocissima entrata-uscita per un paio di scarpe da ginnastica viste le condizioni delle mie attuali, che dopo 4 anni sono completamente distrutte. Con l’obiettivo preciso di non perdere tempo a gironzolare per negozi, mi sono prefissato 3 tappe che ho fedelmente rispettato. Parto da casa, direzione “Le Piramidi”, è tardo pomeriggio, circa le 18.00, e inizia subito nel peggiore dei modi, la mia lunga ora. All’altezza della rotatoria che porta alle Piramidi mi attende una colonna di macchine praticamente senza fine. Tutti fermi, da Torri, dalla tangenziale, da Lerino e da Grisignano, macchine ovunque, incolonnate e con guidatori all’interno già spazientiti, con musi lunghi o che sbraitano a quello davanti che si ferma o a quello di fianco che sorpassa e gli ruba il posto.

Dopo la colonna ovviamente scatta il problema parcheggio, risolto con enorme colpo di…fortuna visto che la macchina davanti a me stava uscendo. Entro e vado dritto al primo negozio e vengo accolto dalla prima scena che mi ha portato a scrivere queste veloci considerazioni. Coppia di ragazzi circa della mia età, la ragazza guarda lo scaffale pieno di scarpe e ne sceglie uno, guarda il compagno e gli fa: “Compriamo queste”. Il ragazzo guarda il prezzo, che dall’espressione deve essere stato un tantino spropositato e invita la sua ragazza a vedere se in giro ci sono altri modelli più economici. Dopo una discussione, veloce ma con toni di voce altini, la ragazza sbotta in uno: “Non capisci un cazzo” e gli getta davanti ai piedi le scarpe che si voleva comprare e se ne esce dal negozio. Cambio negozio e mi ritrovo un’altra scena praticamente uguale, ma a parti invertite, con questa volta il ragazzo che manda in quel posto la sua amica o fidanzata e esce dal negozio tutto scuro in volto.

La terza ed ultima scena mi attende al parcheggio con una coppia che aveva parcheggiato di fianco alla mia macchina. Arrivo e noto una colonna interminabile di macchine, e a sto punto decido di aspettare un attimo per avere lo spazio per far manovra ed uscire. La coppia di fianco a me, invece non aspetta, esce dal parcheggio nel senso contrario di marcia, intasando quindi anche la corsia opposta, dove nel frattempo era arrivata una macchina. I due conducenti si guardano e dopo un po’ uno dei due comincia a suonare in modo insistente; a quel punto entrambi escono dalla macchina e cominciano ad insultarsi (non riporto le frasi per decenza).

Salgo in macchina, visto che nel frattempo dalla mia parte si era liberata la strada, sperando solo di andarmene da li il prima possibile, e invece mi attendono 15 minuti di colonna tra gente che le prova tutte per evitare l’attesa, altri che imprecano perché non si procede. Guardo attraverso i finestrini, e vedo persone nervose al volante e passeggeri stancamente appoggiati al sedile che probabilmente non vedono l’ora di uscire da questo groviglio di macchine.

Situazioni che avrete potuto vedere in tanti, o che magari avrete vissuto proprio in prima persona, e allora mi chiedo perché continuiamo a ricaderci, ad andarci a richiudere ore in posti tutto sommato noiosi e incasinati, dove la gente è di fretta e nervosa. Mi chiedo se il nostro progresso così tanto propagandato, si limiti a farci passare ore chiusi in una macchina, magari da soli, o a creare “aspettative consumistiche” che non possono essere soddisfatte. La domanda che mi pongo, anche se la risposta fa veramente paura, cosa succederà se la crisi economica che stiamo vivendo peggiorerà ancora, lasciando meno soldi e meno possibilità a tutti. Cosa succederà alle famiglie che entreranno nei negozi sapendo già che non potranno permettersi più certe cose, e cosa succederà ai più giovani che si vedranno abbassare la paghetta? Cosa succederà a queste migliaia di persone che vivono in base a quello che consumano, e che una volta che dovranno consumare di meno si troveranno con un vuoto enorme da colmare. La crisi economica attuale mi fa più paura per gli aspetti sociali, che renderà la gente più chiusa, più nervosa, probabilmente più sola. La mia idea è che questi temi non siano affrontati in modo aperto, ma invece tenuti nascosti o trattati superficialmente. Si parla esclusivamente di mancanza di lavoro, di imprese, di povertà, ma una analisi su vie alternative e più vicine alle reali esigenze umane non esiste, o non è ancora stata portata alla luce. Si parla ormai fino alla nausea di economia sociale, di finanza etica, di riforma del sistema bancario, ma si sta ancora tenendo in piedi un sistema capitalistico che ha mostrato i sui limiti e i suoi orrori. Non mi tiro fuori da questo sistema, sono anche io figlio di tutto questo, quindi non sono perfetto e innocente, ma voglio sperare che questo post contribuisca ad aprire gli occhi davanti alle nostre responsabilità.

Volete sapere se ho preso le scarpe? No, perché pagare prezzi tra i 90 e i 160 euro per un pezzo di gomma e tela prodotto in Cina o Indonesia per 3-4 dollari è uno dei tanti incantesimi del nostro capitalismo.

sabato 10 ottobre 2009

E adesso?


E adesso? Mi stavo preparando alcuni post su temi distanti dai soliti che si possono leggere o ascoltare, stavo cercando di comporre un puzzle di informazioni da riportare sul blog, da discutere assieme, volevo parlare del Trattato di Lisbona appena votato in Irlanda e di cosa comporterà per noi cittadini, volevo parlare di sport, e di amicizia, volevo parlare su consiglio di Diego del digital divide, anche se forse ne sa più lui di me e dovrei far scrivere lui su un argomento del genere. Insomma ero pronto, o quasi per un articolo più ampio, meno legato ai problemi attuali e più leggero magari. Ma gli eventi, o meglio l’evento di ieri, mercoledì 7 ottobre ha modificato le mie priorità. L’inammissibilità del Lodo Alfano è una precisa linea di demarcazione nella vita politica del nostro paese, ma oggi non starò a discutere se il Premier deve dimettersi, se servono nuove elezioni, o se serve un governo tecnico. Resta ovviamente il fatto che un premier sotto processo, non dovrebbe nemmeno star li a riflettere o meno se continuare il suo mandato, ma dare le dimissioni subito e rimandare il tutto ai cittadini. Ma in questo post c’è dell’altro, ovvero la consapevolezza che Berlusconi è comunque alla fine di un lunghissimo viaggio, e questo per vari motivi quali età, idee, processi vari, partito che sta dando segnali di distacco e nervosismo e altri attori che appaiono sulla scena.

Torno alla domanda iniziale, e adesso? E adesso c’è da valutare cosa vogliamo fare dopo questi 15 anni di Berlusconismo spietato, e dopo 15 anni di capitalismo spinto, di finanza senza controlli, di avanzamento di mafia e attività criminali e di impoverimento della classe media.

Riprendo un articolo di Carlo Bertani che valuta la situazione odierna dei partiti e fa notare come in concomitanza della sentenza della Corte Costituzionale si sia riunito per la prima volta il movimento “FareFuturo” di Montezemolo. Casuale o meno, non è questo l’aspetto cruciale, è comunque un segnale di profondo cambiamento nell’area politica e di ricerca di nuove soluzioni e nuovi temi da proporre. Quali nuove soluzioni e quali nuovi temi? Qui casca l’asino, perché se Berlusconi si è sempre dichiarato difensore della piccola e media industria e dell’artigianato, ha in realtà sempre sostenuto la grande impresa, le grandi multinazionali e le grandi finanziarie, e in continuità con questo credo, penso che pure Montezemolo seguirà questa traccia e questa idea. L’idea di un capitalismo sfrenato, senza regole e senza difese per i lavoratori dipendenti che si troveranno, ma si trovano già, schiacciati in un meccanismo che premia li più forte e mette alla carità il più debole. Gli ultimi 15 anni di politica economica e sociale hanno visto leggi inutili, o sfruttate solo per abbattere i costi (vedi legge Biagi) che nulla hanno fatto per proteggere il diritto al lavoro di milioni di persone.

Ecco perché è da chiedersi cosa succederà adesso, o comunque nel giro di 3-5 anni, e la mia sensazione è che avverrà una passaggio di testimone, Berlusconi è destinato alla deriva politica, ma dietro premono già diversi nuovi attori, con a capo Montezemolo che proseguirà il progetto dell’attuale governo, puntando tutto sulla grande impresa e sull’abbattimento dei costi e dei salari. Ecco perché dopo la sentenza della Corte Costituzionale, nessun partito tranne quello di Di Pietro ha il coraggio e la volontà di chiedere elezioni anticipate, perché nessuno in questo momento è pronto ad un disegno diverso dal punto di vista sociale, economico, industriale e finanziario.

Bertani nel suo articolo propone l’avvento della decrescita, produrre solo quello che si consuma, consumare di meno, energie rinnovabili e più attenzione all’ambiente. Prospettiva ideologica perfetta, ma forse di difficile applicazione, perché chi lo dice alla gente di abbassare il proprio tenore di vita e d rivedere alcune pratiche subdole de capitalismo (l’usa e getta, distruzione dell’ambiente a favore del guadagno, guerre per il controllo delle fonti energetiche)?

L’inizio potrebbe essere più soft, insegnando alla gente come risparmiare l’acqua, a mangiare sano, a lavorare di meno, a consumare meno e a riutilizzare la plastica e il vetro. ma deve essere fatto subito, mettendo le popolazioni davanti alle proprie responsabilità, davanti al fatto che questo tenore di vita è insostenibile e che 4 miliardi di persone aspirano al nostro modello sociale e consumistico. Vi potete immaginare che disastro sarebbe per tutti noi?

E adesso? Adesso, per ognuno di noi è l’ora di agire, di uscire dal nostro mondo protetto, dalla nostra prigione d’oro e rimettere in discussione questo sistema, altrimenti il testimone passerà di nuovo in mani sbagliate.

Siamo davanti ad un bivio, e se le forze di sinistra vogliono uscire vincenti e coese devono valutare questo scenario, che segna la fine di una epoca e la nascita di qualcosa di diverso. Sta a noi scegliere se parlare del nostro mondo e del nostro futuro, o se continuare a parlare di escort, festini e prostata del premier.

sabato 3 ottobre 2009

Il bianco e il nero


Questa mattina appena alzato ho dato una stanca occhiata fuori dalla finestra e il primo giorno di ottobre mostra i primi segni dell’autunno. Una nebbia fitta che oscura l’orizzonte lasciandomi un po’ di malinconia di questa estate appena passata. La mente ci mette un po’ ad abituarsi a questo nuovo paesaggio un po’ più triste ma comunque affascinante, faccio colazione, mi lavo il viso e mi cambio pronto per andare a lavorare. Davanti a me, sul letto questa mattina mi trovo con un insolita scelta, una maglietta bianca e una nera. Sarà la prima nebbia, i miei pensieri ancora assonnati, la stanza ancora in penombra, ma li per li scelgo la maglietta nera. La infilo, la faccio sparire dentro alla salopette e mi lascio la porta di casa alle spalle facendomi abbracciare da una giornata uggiosa, ma calda, indecisa come me in quel momento.

Ora sono in ufficio, sono passate un paio d’ore, e guardo la mia maglietta nera e mi chiedo il perché di questa scelta. Perché non quella bianca? La scelta è avvenuta non casualmente, come detto prima, ma spinta da sensazioni, dalla situazione atmosferica, dalla stanza buia. La scelta del nero è stata probabilmente solo una continuazione mentale del mio essere in quel momento. E allora mi chiedo, cos’è il bianco e cos’è il nero? Solo due colori o due modi opposti di vedere le cose?

Faccio questa analisi perché ho alcuni pensieri che mi ronzano in testa e li voglio condividere, sapere cosa ne pensano gli altri, cosa c’è li fuori. In pratica voglio capire in cosa consiste la divisione tra bianco e nero nella nostra società, intesa come società occidentale (termine che odio). La riflessione parte dall’ 11 settembre 2001, dalla caduta delle Torri Gemelle ( e non mi addentro in analisi su chi o cosa abbia colpito le due Torri), e dall’entrata nelle guerra globale al terrorismo. Da quel giorno in poi siamo stati martellati dalla guerra del bene contro il male. Propongo oggi un giochino, per ragionare sull’associazione di determinate parole tipo terrorismo, bombe intelligenti, talebani, guerra di pace, esportare la democrazia e altre ancora.

Dal vocabolario la parola bianco identifica: purezza, neve, essere candidi, luce, bellezza, delicatezza ecc ecc. Nero invece esattamente il contrario: scuro, tenebre, sporco ecc. Fin qui niente di nuovo, ma se comincio a mettere assieme i pezzi de puzzle viene fuori una cosa del genere:

talebani=nero, bombe intelligenti=bianco, terrorismo=nero, guerra di pace=bianco e ancora burqa=nero minigonna=bianco, Islam=nero Cristianesimo=bianco, nucleare iraniano=nero, 3000 testate nucleari americane=bianco, jihad=nero esportare la democrazia=bianco.

Ecco l’assurdità dei nostri tempi, aver ridotto la vita, l’interazione tra persone e la mescolanza di civiltà, culture a due colori, a due stati d’animo e a due visioni opposte. Aver deciso a priori che noi, inteso come occidente, siamo bianchi, ovvero puri, giusti e sempre dalla parte della ragione è un rigurgito tremendo di presunta superiorità, di occidentalizzazione del mondo, aspetto che a me spaventa non poco. Cosa ci ha dato l’esportazione della democrazia in Iraq e in Afghanistan? Più o meno sicurezza (percepita)? Quanti morti civili e innocenti sono morti sotto bombe alleate? Non difendo regimi crudeli e sanguinari, ma penso che anche nell’occidente, anima del progresso, molte democrazie siano colpevoli di feroci guerre e di tremende violenze. Ogni giorno basta aprire un giornale a caso e si possono leggere articoli del genere: “Afghanistan, raid olandese fa strage di donne e bambine. Nove i civili uccisi. L’Isaf si difende: “procedure rispettate”. Ci nascondiamo dietro ai morti a norma di legge, ma nove persone, nove vite umane sono state spezzate per una decisione superiore presa da uno stato a migliaia di kilometri di distanza. È talmente lontana questa guerra e talmente assurda che 9 persone morte non ci dicono nulla, diventano “effetti collaterali” di una invasione, freddi numeri che passano per i tg che noi guardiamo comodamente seduti nel tepore di casa nostra. Stiamo tutti vivendo la più grande ipocrisia di questo inizio secolo, i governi occidentali sono il bianco, tutto il resto è nero. Cosa ancora più grave è che sono stati eliminati i colori intermedi, le sfumature, le diversità, le voci fuori dal coro che avrebbero potuto indicare una soluzione diversa a questo scontro di civiltà. Mi riconosco nelle parole di Tiziano Terzani che riteneva che ogni popolo dovesse crescere e svilupparsi con una propria identità, e faceva l’esempio del burqa affermando che la donna afgana aspira appena diventa grande a portare questo abito, ma è ovvio che se questa stessa donna viene a contatto con la nostra cultura è molto probabile che il burqa lo sostituirebbe con altri tipi di vestiti. Il mondo e le culture sono in continuo movimento, e i colori bianco e nero non lo identificano per nulla. Ho ancora addosso la stessa maglietta nera di questa mattina, e mi accorgo che dopo quello che ho scritto, il bianco e il nero sono i due colori di uno stesso problema. Domani sceglierò un colore diverso per ricordate a me stesso che il mondo continua ad essere molto più complesso e sfaccettato di quello che molti ci vogliono far credere.