lunedì 9 novembre 2009

Essere o non essere?


Essere o non essere? La frase più famosa della tragedia shakesperiana, il dubbio amletico. Essere o non essere? Cosa significa ora nella nostra società, cosa è meglio? E quali pericoli nasconde questa domanda?

Non sono uno psicologo, ne un sociologo, ma ho un cervello e due occhi per vedere quello che mi sta attorno, non la verità, ma comportamenti, fatti, atteggiamenti, che prendo e rielaboro, analizzo per capire cosa c’è di buono e di cattivo in questa società.

Qual è il significato della parola “essere” nel nostro mondo, nei nostri rapporti umani? La mia idea è che la parola essere si sia trasformata in “esistere” inteso come farsi vedere, notare, aver quell’attimo di notorietà che nell’era della comunicazione globale non si nega a nessuno.

Come faccio a dire questo? Partendo da un fatto inconfutabile, l’esplosione di internet, di siti di informazione, di blog e micro blog (compreso il mio) dove ognuno vuole dire qualcosa e pensa di dirlo in modo originale e nuovo (situazione dove mi trovo anche io, siamo già quindi al paradosso), dove non si può fare a meno di lasciare un commento per sentirsi vivi, per alzare la manina in oceano sconfinato e dire: “questo sono io, questo è quello che penso”.

Non critico l’utilizzo di questi strumenti, che rimangono utilissimi per poter vedere il mondo, la storia e i fatti con colori e voci diverse, ma critico, o meglio osservo che molti (non tutti) di quei commenti lasciati nei blog, quelle poche frasi messe li, sanno più da grido di disperazione, da ultimo urlo prima di rimanere soffocati, sanno da buona azione per dimostrare la propria cultura su un tema.

Siamo all’interno di un sistema in cui non è più indispensabile pensare, vivere, emozionarsi, ma servo solo esserci, ci svegliamo alla mattina e molti accendono il pc per vedere cosa è successo nella notte, aprono facebook perché li dentro è obbligatorio sapere tutto di tutti e far sapere tutto di noi stessi (ripeto, non tutti, ma molti si, forse la maggioranza), e controllano blog per lasciare qualche breve commento, magari anche solo un “buongiorno”.

Usiamo questa tecnologia pensando che li dentro ci stia il mondo, ci stiano i nostri interessi, i nostri pregi e difetti, ci stiano i migliori amici e i posti più belli al mondo. Penso invece che dentro a quello schermo ci sia solo la nostra paura di sparire, di non essere visti, perché o sei interattivo oppure per questo modello sei semplicemente morto. Un po’ come succede nel mondo del lavoro, o sei un lavoratore, flessibile, magari in nero, magari sottopagato, oppure sei fuori dal sistema, sei inesistente, sei privato della tua stessa persona.

L’utilizzo totale di questo strumenti ha trasformato la normale frase: “Ciao, come ti chiami?” in “Ciao, sei su facebook?”. Come diceva un comico a Zelig: “Cazzo, ho 3000 amici su facebook, ma è venerdì sera e sono a casa da solo in mutande sul divano”. Questo modo di “essere”, è freddo, è sintetico, non duraturo, ma in qualche modo da sollievo.

Se andiamo a vedere in televisione, le cose non vanno molto meglio. Esplosione di reality su qualsiasi canale, con il Grande Fratello che la fa da padrone, ma l’aspetto ancora peggiore riguarda quella moltitudine di dibattiti che sostanzialmente non servono a dare una informazione precisa e neutra ma si basano sempre e solo sullo scontro verbale. Si usa come metro di valutazione, non tanto che da una informazione, ma chi riesce a fare una propaganda migliore e alla fine lo spettatore non ne viene fuori e rimane sulle sue posizioni. Non diventa un dibattito, ma più che altro tifo da stadio.

Ecco perché la domanda iniziale? È meglio essere o non essere? Dopo queste poche righe, sicuramente incomplete ma sincere, vi confido che preferisco non essere, preferisco non avere una opinione su tutto, preferisco avere una cultura il più larga possibile, ma non dover per forza esprimere un parere o un giudizio. Preferisco uscire in terrazza e guardare una fredda giornata di novembre, preferisco la compagnia di persone in carne e d’ossa e il calore di una cucina incasinata. È in atto una rivoluzione epocale del nostro modo di vivere e comunicare, ma nonostante le molte illusioni di libertà, questa rivoluzione ci vede semplicemente come consumatori finali, come target di un sistema chiuso.

P.S: come dicevo all’inizio dell’articolo, faccio parte anche io di questo sistema, visto che tengo un blog e ho facebook, non posso nascondere questa cosa, e per cui faccio parte io stesso di questo paradosso, che mi vede come consumatore finale, come preda! Attendo valutazioni, se vorrete darle.