sabato 24 dicembre 2011

Perchè un'alternativa esiste.....



Per l'articolo di Natale (ovviamente su sto blog nulla è conforme alla regole, quindi niente auguri) lascio la parola, o meglio la penna a Matteo che ha deciso di mettere su carta la sua esperienza universitaria e farci sapere cosa sta succedendo dall'interno. Buona lettura, unica indicazione: in fondo all'articolo trovate tutti i link legati a questo articolo per darvi riscontro immediato di quello che Matteo (ed io in altri post più vecchio) ci sta dicendo.
Buona lettura


Ciao a tutti, sono Matteo uno studente al terzo anno di Economia della Facoltà di Padova. State tranquilli non vi farò nessuna lezioncina sulla manovra Monti oppure sullo spread & Co, neppure vi spiegherò nuove teorie economiche come la Modern Money Theory, per questo ci sono economisti molto più preparati di me. Di cosa tratterò? Diciamo che vi parlerò semplicemente della mia esperienza universitaria con la speranza che i temi affrontati e gli spunti di riflessione vi aiutino a capire altri aspetti dell'economia che nessuno purtroppo tratta. Iniziamo dal principio, cosa mi ha spinto a scegliere di fare economia all'università? Sono due i motivi per cui ho fatto questa scelta: il primo riguardava il fatto di capire i motivi della crisi, in un mondo dove l'economia risulta essere sempre più importante (positivo o negativo che sia, è un giudizio personale) volevo scoprire i principi di questo sistema e magari verificare se esistessero soluzioni a questa crisi. Il secondo motivo era molto più personale, e riguardava la curiosità di scoprire e capire i motivi della povertà nel Terzo Mondo, come sia possibile che nel XXI secolo ci siano ancora persone che muoiano di fame.
I primi corsi, molto generali, mi hanno fatto entrare in un mondo a me sconosciuto e mi hanno dato le basi per capire meglio i temi più importanti dell'economia. E' dal secondo anno, però, che capisco che qualcosa non è proprio come io speravo che fosse...Corso di organizzazione aziendale: all'inizio del corso si spiega da cosa sono giustificate le azioni dell'uomo, ovvero successo, potere e affiliazione; chi cerca le prime due può diventare leader, chi invece è più propenso al terzo elemento può diventare solo un subordinato. Corso di marketing: vengono illustrati praticamente tutti i metodi immaginabili e non, in modo che il prodotto scelto sia venduto il più possibile (è riduttivo ma per la mia analisi basta questo). Corso di economia industriale, spiegazione della strategia del grilletto ( state attenti che qui c'è da ridere!): se due o più aziende si accordano per fare un prezzo di cartello per beni dello stesso tipo in modo da avere profitti maggiori e una di queste aziende non rispetta l'accordo le altre la eliminano...e qui avviene il colpo di teatro della lezione, il professore mette le mani in modo tale da formare una pistola ed esclama BUM BUM!! (tutti ridono, io non sapevo realmente se mettermi a piangere). Cioè capite bene che io stavo cercando i motivi della povertà nel Terzo Mondo e i corsi trattavano di come fare più profitti e come guadagnare di più anche a discapito del tuo vicino di casa!! Poi scopro che alcuni professori che insegnano all'università, appartengono alla famigerata Fondazione CUOA e sono i direttori scientifici (le menti) dei vari progetti che essa offre, quindi le stesse persone influenzano l'istruzione di centinaia di studenti ogni anno ed anche degli imprenditori, fornendo le stesse teorie e metodi di apprendimento a tutti. Qui c'è da porsi una domanda sostanziale: cosa significa l'economia e a cosa può servire? Secondo me l'economia deve mettere l'uomo al centro di tutto, ma non una percentuale minima che può considerarsi l'elite, ma l'intera umanità. Deve essere funzionale alla vita, ma la vita stessa non può dipendere da essa; se io ad esempio posso vivere una vita dignitosa con 50 perché devo avere l'ambizione di avere 100 e di togliere la possibilità di vita ad un'altra persona?? Qui mi viene in aiuto Tiziano Terzani che parla di felicità e la collega alla parola "accontentarsi"(1). Cosa c'entra la felicità con l'economia? Semplice, l'economia strutturata come scienza che mette l'uomo al centro deve puntare e offrire la felicità di esso. Ci sono teorie economiche moderne che parlano dell'economia in relazione alla felicità, e ho avuto la fortuna di sentire il professor Bartolini parlare proprio di questo, nel suo libro spiega come i paesi più ricchi siano anche quelli più infelici e ci sono grafici economici che spiegano questo(2).
Altro corso, anzi il corso per eccellenza, quello di macroeconomia: finalmente sento parlare di crisi e dei suoi motivi penso, in effetti è così, si analizzano le teorie macroeconomiche e le parole che risuonano continuamente sono debito, inflazione, inflazione, debito, debito ed inflazione....praticamente queste teorie trattano queste due parole come se fossero il male in assoluto dell'economia. La cosa lì per lì non mi ha colpito ed io come tutti a ripetere debito ed inflazione, fino a che leggendo su internet scopro che l'Argentina nell'ultimo biennio ha una crescita del 9.2% con un'inflazione del 27-28%!! Com'è possibile?? Il corso di macroeconomia dice il contrario, questi sono dei pazzi! Ivan Hein, sottosegretario argentino alla Presidenza e al Commercio, ha risposto a Strauss Kahn in una riunione del FMI così: “Che cosa me ne importa a me di avere una inflazione al 3% come avete voi in Europa essendo infelici tutti, se io posso dare felicità alla mia nazione con una inflazione al 30%? Lo so da me che va abbassata, ho studiato economia anch’io. Lo faremo. Ma lo faremo soltanto quando ci saremo ripresi tutti. Non prima. La felicità ha valore soltanto se può essere condivisa collettivamente, è una teoria economica, questa, e mi meraviglio che lei che viene dal Primo Mondo non lo sappia. La felicità per pochi privilegiati, non è vera felicità, è avidità bulimica. E’ un peccato mortale." (per completezza d'informazione Ivan Hein è stato trovato morto il 21 dicembre 2011 nella sua stanza d'albergo. Si parla di suicidio (?)...). Poi leggo ancora che in questo periodo la disoccupazione è scesa dal 22% al 4% e il tasso di povertà è diminuito. Bingo!! Eccolo qua il sistema che ho sognato, dove l'uomo inteso come collettività è messo al centro del progetto. E da qui iniziano le mie scoperte e inizio a comprendere un mondo che mi iniziava a stancare e dove sentivo di non appartenere. L'economia non è solamente quello che studio sui libri e mi viene spiegato nei corsi, ma per fortuna è ben altro. Prima parlavo di teorie nel corso di macroeconomia, bene le teorie che si studiano all'università sono unicamente neo-liberiste, le altre scuole di pensiero non hanno voce. Questo spiega perché a Keynes, l'economista che ha rivoluzionato il modo di pensare negli anni '30 e grazie al quale è stata superata la crisi del '29, nel corso viene dedicato un solo capitolo minore e solo teorico verso la fine delle lezioni. Riuscite a capire il meccanismo? Dall'università escono migliaia di cervelli, che presumibilmente dovranno dirigere il mondo nei prossimi anni, che sono settati in un'unica direzione limitata dell'economia. Questo non lo dico solo io, ma perfino gli studenti dell'Università di Harvard hanno scritto a Gregori Mankiw, docente di economia dicendo “Ci rifiutiamo di seguire questa lezione, vogliamo esprimere il nostro disagio circa le deformazioni di questo corso. […] Ci siamo accorti che il corso sposa una specifica – e limitata – visione dell’economia che perpetua sistemi di diseguaglianza economica problematici nella nostra società.”(3)
Io le risposte alle domande che mi facevo le ho trovate nella Modern Money Theory, una teoria economica che parla addirittura di piena occupazione, visione utopistica nel modello contemporaneo. Ah un'ultima cosa, la risposta alla povertà nel Terzo Mondo? Semplice guardate il discorso di Thomas Sankara, ex presidente del Burkina Faso, che fece il 29 luglio 1987 all'Organizzazione dell'Unità Africana.(4) Sankara verrà ucciso il 15 ottobre dello stesso anno dal suo migliore amico Blaise Campaorè, che diverrà presidente, con il supporto anche di Gengerè (ora Ministro della Difesa del Burkina Faso) e Charles Taylor (burattino al servizio della CIA ed ex Presidente della Liberia). Il colpo di Stato è stato orchestrato dalla CIA e dalla Francia.(5)
P.S Per chiarimenti, analisi, spiegazioni ecc. lascio la mia mail teogr_90@hotmail.it in modo tale che non dobbiate scrivere a Michele, cha altrimenti se la prende con me...

(1) http://www.youtube.com/watch?v=uQTg-AHlvhI
(2) http://www.athenaeumnae.com/public/allegati/2049_presentazionebartolini.pdf
(3) http://hpronline.org/harvard/an-open-letter-to-greg-mankiw/
(4) http://www.youtube.com/watch?v=ZDyOCw4suXk
http://www.youtube.com/watch?v=IycG-6xw6Ks&feature=related
(5) http://www.youtube.com/watch?v=ChDY4zbMHes&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=5An5I9lr9OQ&feature=related

giovedì 8 dicembre 2011

Il Piano (sulle tracce della crisi economica)


Sfrutto una chiacchierata fatta oggi con mio mio amico per scendere più nei dettagli dei miei ultimi due post! Davide (il mio amico) oggi mi ha posto un paio di questi assolutamente pertinenti e che richiedono una risposta precisa. In sostanza mi chiedeva se non considero esagerato scrivere che l’attuale crisi economica e dell’Euro derivi da un piano preciso nato e pensato alla fine della seconda guerra mondiale. Questione perfetta per farmi introdurre maggiori dettagli a quello che ho scritto negli ultimi giorni.
Premetto che non mi interessa fare il maestrino saccente o dimostrare che Davide ha torto, ma semplicemente portavi alcune prove di questo piano. Seconda premessa, considero Davide una persona di gran cultura, che ha conoscenze elevate e con un grande esperienza visto il suo lavoro e visto che ha girato mezzo mondo e questa mia considerazione nei suoi confronti mi porta a dover essere preciso al millesimo nel raccontare questo piano, altrimenti verrei smascherato subito e farei una figura misera. Detto questo, parto con il racconto.
Intanto due questioni iniziali, perché questo piano? E soprattutto, a chi serve?. Ecco quello che io ho trovato studiando e mettendo assieme le prove:
- Serve a impoverire milioni di persone e fargli perdere il potere di decidere, serve a svuotare di fatto la democrazia e le sovranità nazionali
- il piano serve per riportare al potere una stretta elite che hanno perso il potere sui popoli dopo la rivoluzione francese (sto semplificando al massimo eh, la storia è più complessa)
Chi cominciò a teorizzare questo piano? Questi sono i nomi, probabilmente sconosciuti ai più ma quelli che di fatto hanno fornito le idee e le teorie economiche per fare in modo che quella elite potesse riconquistare il potere: Walter Lippmann e Edward Berneys, 2 intellettuali americani e in Europa invece Jean Monnet, Francois Perroux e Robert Schuman politici ed economisti francesi. Questi 5 personaggi, probabilmente non in collegamento tra loro diedero le basi teoriche a questo piano, un piano pensato dall’inizio degli anni ’20 fino al 1945. Nel dopo guerra altri personaggi quali Ludwig von Mises, Friederich von Hayek, Jacques Rueff e Raymond Aaron, tutti economisti che avevano chiedevano un contenimento molto stringente dello Stato nella vita economica di un paese. Ovvero di avere un Stato “leggero” che desse lo spazio massimo al mercato e che intervenisse solo a tappare i buchi creati dai disastri liberismo.
Questi furono i primi economisti che diedero i natali al neoliberismo e al neomercantilismo, il piano però non si fermo perché in gioco c’era troppo e quella elite non poteva perdere la partita, altrimenti sarebbe stata cancellata per sempre dalla storia dell’uomo. Cosa successe successivamente? Il piano prese forma, una forma mostruosa, perché per far passare queste idee di questi pochi economisti nacque il Piano, perché i personaggi nominati prima erano solo il cervello, ma le idee per camminare hanno bisogno di braccia e gambe. Le braccia e le gambe di questo piano furono e sono tutt’ora le fondazioni, i think tanks e le università. Le idee di questi economisti furono finanziate a 360 gradi e furono inculcate nelle giovani generazioni dell’epoca in modo tale che le teorie economiche neoliberiste furono spacciate come le uniche verità economiche. In Italia, per fare un po’ di nomi il CUOA, la LUISS, Bruno Leoni, Prometeia e Nomisma hanno formato migliaia di economisti, giornalisti, professori, imprenditori.
C’è poi una tappa fondamentale che è la conferenza di Konstanza sulla teoria monetaria nel 1970 che puntò a inculcare i nuovi leader europei alle teorie della deregolamentazione, della privatizzazione. Negli anni ’70 il più illustre economista fu Milton Friedman che troveremo poi come consigliere di Augusto Pinochet in Cile quando le camere di tortura funzionavano a pieno regime.
Forse non riesco a rendere l’idea ma provate ad immaginare ad un virus che all’inizio è poco virulento, niente sintomi, zero malessere ma man mano che passano i giorni il virus comincia a riprodursi e a manifestarsi, un po’ come un cancro (scusate per l’esempio) che prima prende solo un organo, poi si espande e diventa padrone del corpo sano. Un altro mio amico, Matteo mi spiega esattamente questo, dicendomi che all’Università i professori di economica non dedicano tempo a teorie alternative, molti non ne possono nemmeno parlare perché pagati proprio da quelle fondazioni di cui vi dicevo prima. Ecco il Piano, portato avanti per imboccare tutti i leader politici con pochi concetti, rapidi e facili da capire. Quali? Eccoli qua:
- l’inflazione secondo Milton Friedman era il male assoluto per ogni economia ed arrivò a teorizzare che un livello “accettabile” di disoccupazione era necessario per contenerla
- il debito pubblico è una follia perché lo Stato deve essere come un padre di famiglia, ovvero deve spendere meno di ciò che guadagna. Questo concetto è talmente profondo che persino i politici di sinistra ci cascano ogni volta. Non capendo che il debito pubblico (solo se con moneta sovrana, cosa che in Italia non esiste più) è la ricchezza dei cittadini, perché l’unico attore che può creare moneta nuova e quindi ricchezza è lo Stato e non sono i privati (che tra di loro si scambiano sempre la stessa moneta)
Questi due banali (e falsi) concetti furono tramandati a tutta la classe politica ed economica in Europa e negli Stati Uniti d’America e di fatto in tutto l’occidente, Giappone e Australia compresi.
L’Europa, come mi ha scritto oggi Davide, è effettivamente molto probabile che nacque inizialmente con il Trattato di Roma del 1957 per unificare popoli che fino a pochi anni prima si facevano la guerra ed è innegabile che questo processo ci ha dato 60 anni di pace mai visti in questo continente. Ma è altrettanto evidente che il processo di unificazione è servito a quella elite per espropriare sovranità economica e monetaria ai popoli, di imporre sacrifici economici disastrosi basati su teorie false e sbagliate. Poi come ultima questione dobbiamo capire che il Piano è stato creato per evitare una volta per tutte che le democrazie nazionali prendessero il potere e creassero Stati forti e ricchezza per i propri cittadini. Quel potere non poteva perdere la sfida e ha fatto di tutto (molto in maniera criminale) per distruggerci e per farci soffrire. Non mi spingo oltre, ma in altri post magari andrò ancora più nel dettaglio. Chiudo qui sperando di aver dimostrato quello che vado scrivendo da un po’ di tempo


Molto di quello che scrivo è frutto del lavoro del giornalista Paolo Barnard (www.paolobarnard.info) e di una mia ricerca personale fatta proprio sul suo lavoro per verificare fonti e teorie.

lunedì 5 dicembre 2011

Sono stanco


Sono stanco, troppo stanco di dire che va tutto bene. Quando trovo i miei amici, i colleghi, i miei genitori ogni volta mi chiedono come va. E io per cortesia rispondo, ma rispondo in maniera quasi svogliata, senza darci peso. Si si, va tutto bene grazie, quando dentro di te senti che le cose non stanno andando bene. Sono stanco di mentire e di fare bei sorrisi (ma quando importante è un sorriso che ti scalda il cuore?), sono stanco di mentire alla gente che mi sta attorno dicendo loro che va tutto bene.
Questo post è per dirvi che le “cose” nella nostra povera Italia e nella nostra Europa hanno preso una piega drammatica, probabilmente non reversibile se non con un prezzo altissimo in termini di sacrifici economici e probabilmente umani. Poche righe per dire che non siamo dentro al film Amytiville horror, che non possiamo cambiare canale. È la nostra vita, è il nostro futuro ed è purtroppo una tragedia per milioni di persone
È di oggi la manovra del nuovo Governo Monti e per spiegare la situazione copio un pensiero di un mio amico su facebook (Pippo, ti rubo la citazione):
“Ci sono cose che non mi convincono (eufemismo!!!):
- Perchè devo pagare l'ICI maggiorata del 60% per la mia unica casa
e il Vaticano con 30.000 (attenzione: NON le chiese, gli oratori etc) unità
affittate a banche, commercianti, polizia, alberghi, ristoranti no?
- Perchè devo pagare più IVA e chi ha portato capitali all'estero ha un aggravio
di tasse di solo 1,5% in più (oltre al 5% già pagato), contro una media europea
del 10-15%?
- Perchè non sono stati tagliati gli stipendi dei parlamentari e dei consiglieri regionali,
mentre vengono bloccati per 2 anni i recuperi dell'inflazione delle pensioni da 1000 euro?
- Perchè non ci sono segni SERI di lotta all'evasione mentre aumentano ancora una volta
i carburanti (e poi di conseguenza tutti i beni che viaggiano su gomma)
- Perchè aumentano l'IRPEF regionale (che tocca tutti) e invece lasciamo intatta l'IRPEF
per i redditi alti (sopra i 75.000€ NETTI all'anno)?
e non tiriamo fuori storie tipo "dobbiamo farlo se non c'è il fallimento" perchè POSSIAMO FARE ANCHE LE ALTRE cose dette per non fallire!!!!”.
Tanti perché che richiederebbero una risposta lunga e articolata, ma per farla breve questi perché trovano risposte in un piano enorme, chirurgico e astuto che è nato dopo la fine della seconda guerra mondiale e che prevedeva la crescita di una Europa unita sotto una unica moneta di proprietà di nessuno, o meglio di pochi privati che l’avrebbero concessa in prestito agli Stati a tassi di interesse altissimi. Non vi faccio la storia di tutto questo piano (se avete tempo fate un paio di ricerche in internet e in poco tempo avrete tutti i documenti che vi spiegano i passaggi tecnici e politici di questo piano). Come popolo, come cittadini abbiamo il dovere (verso le generazioni future) di capire questo piano, di capirne le radici, di capire le persone che lo hanno portato avanti e capire le teorie economiche che lo hanno sostenuto. Non è sufficiente arrabbiarsi con le banche, con il governo, con il parlamentare di turno, con la sfiga e con l’idea che tanto siamo sempre stati poveri e quindi cosa vogliamo farci. Dobbiamo studiare questo piano, portato avanti da una elite finanziaria che per 60 anni ha sviluppato un piano per renderci schiavi di 2 fantasmi: l’inflazione e il debito pubblico. Se oggi parliamo di debito pubblico, alle persona si raddrizzano i capelli. Ooooddddiiiiooo il debito pubblico. Ma se vi dicessi (badate bene che non lo dico solo io, ma anche diversi Nobel dell’economia) che il debito pubblico è la ricchezza dei popoli e che l’inflazione è una falsa preoccupazione (ad oggi l’Argentina ha una inflazione attorno al 25% eppure cresce a ritmo del 9% annuo)? Se vi dicessi che quasi tutti i libri di testo all’interno delle università, delle fondazioni, dei think tank rispecchiano le idee neoliberiste e neoclassiche che prevedono che la finanzia comandi il mondo anche al di sopra delle sovranità popolari e degli Stati? Se vi dicessi che NESSUN partito in Italia va contro a queste teorie e contro questo disegno sociale ed economico? Se vi dicessi che l’euro come moneta è una tragedia unica perché è una moneta senza una sovranità? Se vi dicessi che il trattato Euro Plus firmato il 25 marzo 2011 prevede senza mezzi termini la contrazione degli stipendi dell’apparato pubblico e privato? E che peggio ancora questo patto prevede la creazione di un fondo salva stati da 700 miliardi di euro e che l’Italia dovrà versare una quota a questo fondo di 126 miliardi di euro entro quest’anno se il trattato verrà ratificato?


126 miliardi sono 6-7 finanziarie. Se vi dicessi che nonostante questa ennesima manovra, l’Italia non migliorerà la sua situazione e che anzi andrà peggio per milioni di persone? Se vi dicessi che la disoccupazione aumenterà, che il credito bancario diminuirà ancora? Se vi dicessi che tutto quello che sta succedendo è stato pianificato a tavolino e portato avanti con una spietatezza mai vista? Se vi dicessi che la storia economica è esattamente all’opposto di quella che ci raccontano? Ecco perché sono stanco di dire che va e andrà tutto bene, i dati che ho raccolto, i documenti che ho letto mi portano a dire che il futuro per noi non sarà per nulla facile. Sono stanco di sorridere e dire: “Vai tranquillo, vedrai che sta crisi finisce”. Se vogliamo capire questo piano diabolico e se vogliamo avere le armi per distruggerlo, dobbiamo studiarlo al microscopio, fare pressione, essere cittadini veramente attivi, difendere la nostra democrazia, difendere la nostra sovranità e non per un mero guadagno politico, ma proprio per la nostra stessa sopravvivenza. Non serve a nulla protestare senza sapere chi sono i nostri veri carnefici e i nostri veri padroni.

domenica 27 novembre 2011

Lettera di Natale a Babbo Monti...


Caro Babbo Monti,

quest’anno ti scrivo anch’io la letterina per il natale, nonostante non sia più un bambino ma visto che a quanto pare sarai te quest’anno a portarci i regali, volevo farti avere la mia lista perché sento di essere stato buono (ho pagato tutte le tasse) e di meritarmi qualche regalo.
Ho letto la tua lista dei regali ma non mi piacciono molto, ho visto che ci vuoi regalare un po’ più di Iva (che passerà da 21 al 23% e dal 10 all’11 o 12%), che vuoi rivedere le pensioni di anzianità e quelle di reversibilità, che non hai minimamente obiettato sulla proposta di legge per i licenziamenti più facili. Ci vuoi inoltre regalare l’ICI. Insomma un sacco di bei regali che mi ritroverò o in busta paga o che andranno a diminuire la mia capacità di spesa e di risparmio.
Ora caro Babbo Monti, vorrei farti notare che da qualche anno l’Italia e quasi tutta Europa è piombata in una crisi economica che sembra non mostrare la luce alla fine del tunnel, è ancora buio pesto e voi grandi economisti e tecnici state andando un po’ a caso senza avere una linea precisa e comune. Come leggevo ieri in un bellissimo articolo su internet: “ i tecnici hanno sbagliato talmente tanto, che tocca ora a noi dilettanti cimentarci in nuove teorie economiche per salvare la situazione”. Bisogna solo intenderci se questi errori li fate perché ovviamente siete umani come tutti e non dei santoni infallibili, oppure se state sbagliando con degli obiettivi precisi. Qualcuno che credo anche te conosca anni fa diceva che a pensar male si fa peccato ma qualche volta ci si azzecca. Ecco ora io voglio pensar male, anche se mi giocherò il mio regalo natalizio, e penso, anzi l’ho letto e l’ho documentato che i vostri “errori” sono in realtà un piano specifico e agghiacciante per impoverire milioni di persone in nome del libero mercato. I trattati di Maastricht, Lisbona, la creazione della moneta unica, l’autonomia totale della BCE e l’ultimo e “bellissimo Patto Euro Plus fanno tutti parte di un piano specifico nato più di 50 anni fa che prevedeva l’espropriazione progressiva e inarrestabile delle sovranità statali, quali la Costituzione, le leggi, la moneta, la capacità di spesa a debito e la possibilità di manovrare il bilancio. Man mano che questo piano veniva portato avanti, sempre più libertà veniva tolta ai popoli sovrani. Quei popoli poi sono stati ingannati, come ad esempio in Italia, dove per 20 anni è sembrato che il pericolo maggiore fosse un personaggio al limite della comica come Silvio Berlusconi. La storia, i documenti, le decisioni prese dimostrano che la distruzione della democrazia e dei popoli sovrani è avvenuta per mano di altre persone, riconoscibili più nel centrosinistra che nel centrodestra (e tieni conto Babbo che quelli di centrodestra sono comunque a favore di tutto questo e hanno anche loro ingannato gli elettori e gli italiani tutti).
Caro Babbo, visto che adesso sei te al comando per la distribuzione dei regali, ti devo dire che non mi piacciono molto quelli che vuoi distribuire, soprattutto perché non li hanno decisi i bambini, ma una stretta cerchia di tuoi collaboratori che nemmeno parlano italiano e che non sono stati eletti da nessun cittadino italiano.
Per capirci, c’è quella signora piccolina che parla una lingua strana (mi pare tedesco) che si chiama Angela che ti ha imposto certi regali e ti ha pure detto: “Cerca di fare presto, altrimenti mi arrabbio e poi ti restano solo i regali peggiori”. E poi c’è quel ometto la che sta insieme alla Bruni, sempre vestito bene che ride di noi e che dice che siamo degli spendaccioni e che non riusciamo a fare le riforme. Questo per farti capire Babbo, che sono loro che decidono di noi e per noi, che ci dicono quali regali prendere e quanto spendere per i regali. Ma se poi non ci piacciono possiamo almeno chiedere il rimborso?
Vedi, qui in Italia hai un sacco di aiutanti (parlamentari) che dicono che ti voglio dare una mano a salvare il Paese, ma qualcosa negli ultimi anni deve essere andato brutalmente storto. Perché ci sono quelli di destra che vogliono difendere le famiglie e la libertà, quelli di centro che vogliono difendere le famiglie e il lavoro e quelli di sinistra che vogliono difendere gli operai e il sociale, ma da come è andata nessuno ha difeso niente e tutte le nostre forze politiche hanno demandato la nostra sovranità a dei poteri sopranazionali che nessuno ha eletto e che pochissimi conoscono. E sai cosa cosa è peggio? Che le ricette, che hanno creato questa crisi e questo collasso del debito pubblico, le stai per riproporre con ancora più violenza. Ma non siete stanchi di sbagliare? Non vedete quanta sofferenza avete creato? In Portogallo pochi giorni fa hanno bloccato le tredicesime per i dipendenti pubblici. E tutti quei bambini che aspettavano il regalo? Come faranno? In sostanza caro Babbo tu con tutti gli altri commissari europei, tecnocrati e globocrati (sta parolina l’ho imparata da poco a scuola) avete proposto ricette economiche che ci hanno fatto impoverire e mangiare male per anni, ora le riproponete con una salsa ancora più amara e forse scaduta? Cosa volete ottenere? Ucciderci tutti?
Sai, ho letto un sacco di cataloghi di giocattoli e regali in questo mese, perché a me il Natale piace tanto e vorrei passarlo con la famiglia, a scartare pacchi sotto l’albero e vedere tanti sorrisi, quindi se mi permetti ti do io la lista dei regali che potresti portare alle famiglie, e guarda che non è nulla di complicato, basta solo che ti fermi e che invece di ascoltare quei due signori stranieri, cominci ad ascoltare la gente, quella vera, quella che lavora, studia, cresce i figli. Ecco quello che ti propongo:
dieci anni fa l’Argentina ha fatto bancarotta (adesso io non me ne intendo ma bancarotta significa che lo Stato aveva finito i soldi, è giusto?). Ha fatto bancarotta perché aveva agganciato la sua moneta (pesos) al dollaro americano e quindi poteva spendere al massimo la quantità di dollari che aveva in banca. Ovviamente essendo il dollaro una moneta straniera, l’Argentina doveva procurarsela nei mercati finanziari pagando interessi altissimi. A forza di pagare interessi altissimi, le risorse per mantenere lo stato sociale vennero meno, l’FMI e la Banca Mondiale dissero all’Argentina che doveva privatizzare svendendo il patrimonio pubblico per fare cassa (non so te, ma io ste ricette le ho già sentire anche per la crisi in Europa). L’Argentina dichiarò il default nel dicembre del 2001, le banche chiusero, le aziende fallirono e la disoccupazione schizzò al 25-30%.
I cittadini si arrabbiarono parecchio, ci furono scontri durissimi e parecchi morti. Ma quei cittadini e i loro rappresentanti mandarono a casa una intera classe politica che non era più credibile. Dopo 2 anni di stenti e lotte continue, l’Argentina cominciò a crescere alla velocità dell’8% annuo e tutt’ora lo sta facendo. La soluzione? Bè, si sganciarono dal dollaro e cominciarono a spendere per la gente, triplicarono la spesa sociale, nazionalizzarono le aziende più importanti (comprese quello per l’estrazione del petrolio), rinvigorirono i consumi interni e diedero uno stipendio a tutti i capi famiglia senza un lavoro e con figli minori o disabili. E sa cosa è successo? Il debito è diminuito, la povertà è scesa bruscamente, gli stipendi continuano a crescere,la criminalità è diminuita, i consumi viaggiano alla grande, la ricerca universitaria è una delle migliori al mondo.
Hanno pure una inflazione del 27% in questo momento ma nessuno si preoccupa perché se quella inflazione crea ricchezza diffusa, allora non è un problema. Invece noi qui in Europa stiamo lottando per contenere l’inflazione, ma visto che non possiamo più svalutare la moneta, l’unico modo per contenere l’inflazione è avere livelli reddituali bassi se non da fame e avere una disoccupazione alta e quasi fuori controllo.
C’è un’ultima cosa che mi piace un sacco della politica argentina, ovvero che hanno ridotto le spese militari e l’influenza dell’apparato militare nella politica del paese. Caro Babbo, noi invece abbiamo speso qualche bel miliardo di euro per dei bombardieri. E se avessimo utilizzato quei soldi per gli 8 milioni di tuoi concittadini che secondo l’Istat vivono sotto la soglia di povertà.
Ok caro Babbo Monti, io ho finito, so che sei sempre impegnatissimo ma visto che l’Argentina ce l’ha fatta ad uscire da una crisi, io fossi in te un colpo di telefono alla sig.ra Cristina Fernandez Kirchner glielo farei . Magari ti da qualche dritta per i regali che devi fare agli italiani, magari invece che tassare i più deboli per “fare cassa” ci metti qualche euro in più nella tredicesima grazie a qualche detrazione. Te lo dico sinceramente e senza rancore (almeno non per adesso) perché qui dove abito io c’è tanta gente arrabbiata o depressa per questa crisi.



P.s: questa letteta è una provocazione, ma per chi desidera approfondire quello che ho scritto basta che mi scriva via a mail a cognomichele@virgilio.it , fornirò tutto il materiale necessario.

lunedì 12 settembre 2011

E se fosse il silenzio il nostro più grande alleato?


Lo dice Morpheus sul film Matrix quando da a Neo la pillola blu o rossa, che noi siamo dentro ad una prigione senza sbarre, senza barriere, addirittura dorata per tanti di noi dove siamo tenuti rinchiusi non da qualcun altro ma dalla nostra stessa mente.
Questa volta non scrivo di cose viste, lette, imparate o sentite. Devo parlare di percezioni, di idee che mi sono creato, di vita quotidiana fatta di tanti segnali che noi non cogliamo per pigrizia, stanchezza, noia o poco tempo. Quante volte torniamo a casa dal lavoro, mangiamo, facciamo la doccia, guardiamo un po’ di tv, facciamo due chiacchiere con la morosa/moroso, moglie/marito o genitori e poi è già praticamente ora di “riposare” per essere di nuovo produttivi il giorno dopo? Troppe volte probabilmente, talmente tante che facciamo fatica a distinguere i giorni. Ci fermiamo e vediamo che è scappato via il tempo, prima giorni, poi settimane, mesi e poi gli anni.
Ne parlavo sempre con Matteo nella famosa serata passata assieme a rivivere il suo viaggio in
Spagna e ci rendevamo conto come tutto quello che questa società, i nostri genitori, parenti o amici ci chiedono è di trovare un bel lavoretto, per pagarci la macchina, poi la casa e via di questo passo. I nostri nonni hanno avuto questa educazione, che hanno poi tramandato ai nostri genitori che a loro volta l’hanno trasmessa a noi. Ma noi anche per colpa della generazione dei nostri genitori (io credo sia il motivo principale) ci troviamo bloccati in un paradosso: vogliono farci diventare “bravi cittadini” con il lavoro sicuro, ben pagato ecc, ma dall’altra parte la nostra politica, il nostro sistema economico ci vuole più precari, più flessibilizzati, meno pagati e meno sicuri di avere un futuro. Ancora non realizziamo quanto grande sia questo dramma, ma ogni giorno sento sempre più genitori preoccupati per il futuro dei figli e sempre più ragazzi alla ricerca di qualcosa che non arriva.
Questo è il paradosso dove siamo bloccati, a cui si aggiunge l’idea imperante che è fondamentale andare all’università per aver un bel lavoro, ben retribuito e poco faticoso, poi però la stessa società si lamenta perché i giovani non vogliono più fare i lavori cosiddetti umili. Ma come, ci avete bombardato il cervello con l’idea dello studio, di diventare dottori e poi ci criticate se cerchiamo un lavoro corrispondente alle nostre aspettative o sogni? Bè troppo facile criticare col senno di poi!
Ecco perché sento che la nostra generazione, diciamo quelli nati dagli anni ‘80 in poi hanno un compiti enorme, da far tremare i polsi. Abbiamo l’occasione, o forse addirittura l’obbligo di porre fine o comunque ridimensionare pesantemente quello che per 50 anni hanno “venduto” ai nostri genitori, ovvero lavorare come schiavi, guadagnare, farsi la casa, accumulare ricchezza e potere sociale. Stiamo vedendo e capendo che quel modello li non è sostenibile, non è equo, crea delle disuguaglianze enormi, crea conflitti e ci spoglia dei nostri diritti.
Ma questa è solo la punta dell’iceberg, quello che in realtà trova risposta solo parziale alle mie domande è capire come mai la cosiddetta cultura “occidentale” è stata così brutalmente standardizzata e globalizzata. Non parlo solo dal punto di vista economico, ma proprio dei comportamenti, di come esprimiamo le nostre emozioni, di come ci comportiamo e di come reagiamo.
Ho provato a darmi una risposta senza esserne completamente convinto o meglio, questa risposta contiene delle falle.
Vedete, leggevo oggi i dati della disoccupazione in Europa, 20% della popolazione giovanile sotto i 30 anni e circa il 10% spalmato su tutte le età. Vuol dire circa 30 milioni di persone senza un lavoro. Negli Stati Uniti abbiamo circa lo stesso risultato con l’aggravante di 40 milioni di persone che mangiano solo perché hanno i ticket dal governo altrimenti morirebbero di fame nel giro di poche settimane. Cosa ci è successo? Cosa è successo alla cultura romana? Dove è sparita l’idea della rivoluzione francese, dove è sparita la cultura delle tribù indiane degli Stati Uniti, che fine ha fatto la cultura millenaria cinese? È ovvio che non sono sparite, continuano a tramandarsi nelle generazioni ma in maniera a mio avviso sempre più esigua, sempre meno persone vivono quelle culture e quelle tradizioni, a favore di qualcos’altro. E cosa è questo qualcos’altro? Io ci provo, senza volermi dare arie da sociologo, storico o credendomi uno psicologo.
Lo faccio semplicemente tramite la mia esperienza di vita, breve ancora, incompleta e viziata da come sono stato cresciuto, dal contesto, dai pregiudizi.
Quando ci dicono che i mercati e l’economia hanno preso il sopravvento sulla politica, io credo si voglia spiegare quel fenomeno per cui quello che noi mangiamo, beviamo, consumiamo e utilizziamo (specialmente nelle tecnologia) sia stato globalizzato e standardizzato. Questo sviluppo vertiginoso di modelli standardizzati e preimpostati ci ha di fatto impoverito, magari anche economicamente (anzi di sicuro) ma principalmente come uomini pensanti. Questo sistema di sviluppo-tecnologia-frenesia-profitto-crescita continua, ha generato, un (io lo chiamo così) “rumore di sottofondo” che tiene quasi completamente occupata la nostra mente. Basta pensarci un attimo, ci svegliamo la mattina e accendiamo tv, radio o pc, in macchina ascoltiamo la radio o siamo al telefono, in ufficio o in fabbrica c’è sempre rumore, telefoni, colleghi, radio, stampanti e compagnia bella, poi magari andiamo in palestra o a fare allenamento e anche li rumore, confusione, frenesia. Si torna a casa e ancora tv, giornali, chiacchiere (queste sono comunque positive), computer e tutto il corredo completo. Questo continuo brusio tiene la mente occupata e non ci permette di guardare più a fondo ciò che siamo, cosa vogliamo. Ecco perché prima parlavo di occasione per la nostra generazione e per quelle che verranno, abbiamo la possibilità vera di riscoprirci e di riscattarci, il che vuol dire un pacco di robe, vuol dire mangiare meglio, conoscere i propri limiti fisici, capire il nostro carattere e come ci rapportiamo agli altri, curare i rapporti interpersonali, dedicare molto più tempo alle arti e a quello che ci fa piacere fare. L’accumulo cieco di ricchezza, di potere e di privilegi abbiamo già visto che non funziona, lo sappiamo eppure è una specie di droga, perché è la nostra mente, il nostro Io ad essere totalmente immerso in quel brusio che non si spegne praticamente mai. Dovremmo spegnere quel rumore fastidioso, e riscoprire il silenzio non come solitudine ma come raccoglimento, come momento di profondo contatto con noi stessi. Non so cosa ne pensiate, se siate d’accordo o se avete altre ipotesi e soluzioni. Su questo mi piacerebbe tantissimo sapere cosa ne pensate anche voi.
Attendo commenti, e se il blog vi può sembrare inadatto, anche via mail: cognomichele@virgilio.it

giovedì 8 settembre 2011

La tecnologia la usiamo o la subiamo? Il problema del digital divide



Questo post lo avevo scritto diversi mesi fa, ma ahimè quel pc dove lo avevo scritto mi ha abbandonato e nonostante fare una copia dei dati sia obbligatorio per uno che di lavoro sta sul computer tutto il giorno, ho perso tutto e devo quindi rifarlo.
È un serata splendida, 17 agosto 2011, fa caldo e la luna ha appena fatto la sua apparizione da dietro le case, la strada è sgombra e non passa una macchina da parecchio tempo. In lontananza scorgo qualche figura passeggiare per il paese e qualcun altro che porta fuori le immondizie (per Alessandra: no, non el zè Corona). Qualche cane e gatto che scorazza tranquillo e nessun grido di bambini, che fa un po’ strano perché di solito nel palazzo di fronte alla sera si sentivano sempre giocare, correre, gridare. Ho delle serate libere e non avendo la tv (ah farò un post anche su questo) ne approfitto per scrivere e godermi questi momenti di relax.
Dicevo inizialmente che questo post lo avevo già scritto, e riguardava la tecnologia appunto (forse è per questo che il pc mi ha abbandonato?). Riguardava più nello specifico il digital divide, termine inglese per indicare la difficoltà nel gestire le nuove tecnologie.
Per darvi una misura dei drammi che può scatenare il digital divide, vi porto un esempio che frequentemente capitava in casa Cogno. Mio papà davanti al computer, normalmente per scaricare foto o filmati, urlo: “Micheleeeeee, non funziona più un cassssoooo”, Michele (cioè io) scattava dal divano per vedere quale dramma informatico si fosse appena materializzato sullo schermo. La maggior parte delle volte i problemi erano 2: sbagliava cartella o procedura per scaricare le foto, oppure non riusciva a masterizzare un dvd col filmato.

Nel mentre che tentavo di sistemare i casini e rispiegare a mio papà tutti i passi, arrivava mia mamma che usava grosso modo sempre le stesse parole: “A xè la ventesima volta chel te spiega come fare, te ghè fogli e fogli de appunti che non se capise pì gnente”. E la risposta dell’uomo punto sul vivo era: “Eh ciò, ma non zè colpa mia se el computer el fa queo che el voe”. Mia mamma per chiudere in bellezza buttava li: “ Varda de non spacarlo su naltra voltra, che non go mia intesion de comprarghine uno de novo”.
Come capite, da dalle sciocchezze saltano fuori veri e propri drammi famigliari e personali. L’ho buttata sul ridere perché il tema è di per se leggero, ma ha in ogni caso dei risvolti interessanti, a volte addirittura inquietanti.
Parto dalla situazione generale, ovvero in Italia almeno 3000 comuni sono senza internet o comunque non sono raggiunti da una linea veloce. Questo nell’era della globalizzazione (che brutta roba) è un problema non da poco per le aziende, per gli studenti o per chi con internet e la rete ci lavora. I nostri politici e la Confindustria ci parlano di competitività ma bloccano i fondi per la digitalizzazione del Paese e per il potenziamento della rete. Condivido pienamente con chi dice che l’accesso alla rete, visto come accesso la conoscenza dovrebbe essere sancito come diritto dalla nascita, e quindi il suo utilizzo dovrebbe essere gratuito. Ma forse qui mi sto spingendo oltre. Il primo problema da risolvere è quello di portare un accesso veloce, efficiente e a basso costo ovunque nel territorio.
La seconda questione invece riguarda più nel piccolo, l’utilizzo che facciamo delle tecnologie e la conoscenza che ne abbiamo. Mi capita a volte che qualche amico o conoscente mi chieda di “sistemargli” il pc o di “pulirglielo”. Nella maggioranza dei casi mi trovo a fare operazioni normalissime di pulizia, di cancellazione di programmi o di velocizzare procedure, installare antivirus e spiegare come navigare in sicurezza in internet. Cose che a mio avviso potrebbero essere fatte da chiunque, mettendosi li a leggere su internet i blog dedicati, a leggere le istruzioni. Non sto dando dell’ignorante a nessuno, io per primo ignoro e non capisco mille altre cose. Ma quello che mi fa sorridere è questa ricerca quasi spasmodica di tecnologia sempre più elevata e sofisticata, senza però riuscire a sfruttarla a pieno o nella maniera corretta. Ritengo che in questo momento abbiamo una sovraesposizione di tecnologia che non comprendiamo e nella maggioranza dei casi non ci serve, un po’ come prendere la Ferrari per andare a prende il pane dal fornaio che sta li a 200 metri da casa. Come ho già scritto nei post precedenti, l’abuso di tecnologia ci sta portando a diventarne schiavi, perché facebook bisogna guardarlo per forza, perché i dati bisogna sempre salvarli sull’ hard disk esterno, perché dobbiamo fare gli aggiornamenti, perché arriva un sacco di spam sulla mail e uno rischia di perdersi dentro a tutte queste attività. Siccome manca sempre il tempo da dedicare, il pc diventa molte volte un oggetto misterioso e messo li in salotto o in camera a fare arredamento.
La parte più preoccupante per le generazioni più vecchie o comunque chi è genitore di un ragazzo o ragazza che utilizza il pc è la quasi totale incapacità di poter controllare cosa avviene, cosa guardano, con chi interagiscono. Non voglio fare il terrorista informatico, ma resta comunque un cono d’ombra che molti genitori non sanno affrontare. In pratica serve una educazione informatica che vada di pari passo con lo sviluppo tecnologico, o almeno che permetta a molta più gente di avere le nozioni di base. Ne parlavo poco tempo fa sempre con Diego (mio mentore informatico da una vita ormai) che mi faceva notare come specialmente gli immigrati abbiano una conoscenza elevatissima, dettata dalla necessità di poter mantenere i contatti con i famigliari rimasti nel Paese di origine, e per il fatto che inviano soldi sempre alle loro famiglie. E quindi comprendono molto meglio come gestire un account email, come usare Skype, come trasferire file, come scaricare musica o altro, conoscono lo streaming. Tutti programmi e termini che qui da noi vengono ignorati o non compresi da una grande fetta della popolazione.
Il digital divide quindi ha aspetti rilevanti sia dal punto di vista sociale che economico. Sociali perché la differenza di nozioni tra un figlio e un genitore è enorme, crea tensioni, dubbi. Perché la tecnologia spinta a questi livelli di consumismo, dove possedere non è necessario, ma fa figo, rischia di inaridire i rapporti, rischia di schematizzare le sensazioni e le emozioni, rischia di standardizzare i metodi di apprendimento,ormai la frase: “Oh, hai visto su facebook…”, è sulla bocca di tutti. Economici invece, perché a mio avviso molta gente butta letteralmente i propri risparmi in tecnologia che non sa usare, che non potrà usare per mancanza di tempo e che gli consterà un sacco di manutenzione. Economici inoltre perché le aziende e chi ci lavora dentro perde una marea di tempo se internet non è veloce e se non ha una buona conoscenza degli strumenti informatici.
Dall’altra parte è pur vero che chi si ferma è perduto (come mi ha fatto notare Diego), ovvero che chi chiude le porte a tutte le tecnologie rischia di non stare al passo, rischia di venire marginalizzato, rischia che se poi vuole rimettersi li a imparare e capire non ce la fa o trova degli ostacoli enormi
So che può sembrare strano, ma padroneggiare le tecnologie odierne è diventato come imparare a camminare o guidare l’auto. Non ne puoi fare a meno. Dall’altra parte (e questa è la convinzione che ho io) è che abbandonarci totalmente alle tecnologie ci farà del male, sotto tutti gli aspetti che ho affrontato prima. Il Dalai Lama la chiamerebbe “La via di mezzo” ed è esattamente quello che dobbiamo ricercare, una tecnologia più semplice, meno invasiva, più utile allo sviluppo dell’uomo e delle sue particolarità. Al momento invece percepisco che la tecnologia ci sta semplicemente standardizzando.
Chiudo qui, dicendovi che a casa Cogno il digital divide è stato risolto nell’unica maniera risolvibile: HO CAMBIATO CASA!!!

giovedì 1 settembre 2011

Due strade, due storie ma lo stesso obiettivo


È un periodo un po’ particolare, sto cercando di leggermi dentro, di capire al di la del rumore del mondo cosa c’è veramente dentro di me e chi sono, sto capendo le mie paure e le reazioni che ho. È strano dirlo, ma più ti spingi in fondo alla ricerca e più senti (lo sento io, e non vale mica per tutti sia chiaro) il bisogno di silenzio interiore, di spegnere quel continuo vociare che provoca la vita moderna e la tecnologia in particolare.
E proprio in questo periodo dove probabilmente sono più ricettivo e attento verso certe persone e situazioni, mi sono trovato ad ascoltare storie di amici e amiche che vanno esattamente nella mia direzione, lungo quella linea di ricerca di una profondità interiore. È strano, perché tecnicamente non fai nulla di particolare eppure si sono susseguiti incontri, telefonate ecc. che mi hanno lasciato tra lo stupito e il perplesso per la velocità e l’intensità con cui sono avvenute.
Ho già parlato dell’esperienza in montagna da Diego, ma le piacevoli sorprese non finiscono qui. Due amici, Eugenia e Matteo per motivi diversi, con strade diverse ma forse con obiettivi simili hanno condiviso con me il loro viaggio, Eugenia in Portogallo e Matteo in Spagna.
Niente diario di bordo, perché addormenterei tutti dopo 2 righe e soprattutto perché io non c’ero e quindi i dettagli non li conosco. Metto a confronto le loro 2 esperienze fatte in maniera totalmente separata per tentare di capire se sono non ci sia un denominatore comune che lega due esperienze tanto diverse quanto istruttive.
Eugenia è stata in Portogallo con alcuni amici facendo praticamente l’autostop (tecnicamente si chiama Carovana in viaggio, boleia in portoghese, poi se canno tutto Eugenia ti prego correggimi), raccontandomi tutto quello che le è capitato, di come la gente fosse molto cordiale e aperta, parlandomi di gente “strana”, un po’ particolare che viveva fuori dai normali schemi che ci imponiamo o ci vengono imposti. Mi ha raccontato del viaggio di ritorno quando si è fermata in Val di Susa dove da un po’ di tempo ci sono scontri anche violenti con la polizia per via dei lavori del TAV, rimanendo stupita come ragazzini di 13 anni ti spiegassero come riconoscere gli infiltrati parlando con una naturalezza quasi da uomini vissuti. Mi ha fatto percepire la voglia della gente che ha conosciuto di vivere fuori dal cerchio della paura perenne, di smetterla con i pregiudizi e le paure preparate a tavolino dai media, dai giornali e dai “grandi pensatori”. In sostanza un viaggio fatto nella semplicità, nella condivisione (a volte non sempre facile magari), alla ricerca probabilmente di un modo diverso di vivere, di comunicare e di essere. Quando ci siamo sentiti al telefono ho pensato che tutto sommato non sarei stato al telefono tantissimo, pensavo di sentire le solite 4 chiacchiere su un viaggio e invece la passione e la gioia che mi ha trasmesso Eugenia, ha fatto volare il tempo, senza che nemmeno me ne accorgessi. L’ho lasciata parlare senza interromperla perché sentire quel racconto in silenzio, mi pareva quasi di riviverlo, mi pareva di sentirmelo addosso, come quando da bambino leggevi la fiaba e ti immedesimavi col personaggio e i luoghi. Stessa cosa.
E poco dopo Matteo tornato dalla Spagna, mi scrive e mi fa : “Mit, dobbiamo trovarci a parlare, devo raccontarti tutto”. Oh, li per li, sapendo che era appena stato alla giornata mondiale della gioventù ho pensato: “Bon, sto qua si fa prete”. E invece….e invece ne è venuta fuori una serata squisita davanti ad una ottima pizza dopo allenamento. Non la farò lunga nemmeno qui, ma ascoltandolo ho capito un paio di cosette. Ovvero, la giornata mondiale della gioventù non significa: “Andiamo a vedere il Papa”, è qualcosa di più, che ti mette in contatto con altre persone mai viste, con luoghi nuovi e sconosciuti, che come nel caso di Matteo ti avvicina a qualcosa di assolutamente nuovo e a quanto pare di particolarmente stimolante.
Cosa è successo? È successo quello che anche Eugenia mi ha raccontato, ovvero un viaggio di scoperte, di condivisione, di festa, di comunità. Ci sono 2 momenti della nostra chiacchierata che mi sono rimasti stampati nella mente. Uno quando arriva in Spagna e gli viene assegnata la famiglia dove alloggerà per 4-5 giorni. Famiglia composta da una signora disabile, la sorella e la mamma di 88 anni, che come arrivano gli fa: “Voi per 5 giorni sarete come figli”. Non vi posso far vedere l’espressione di stupore di Matteo, ma credetemi, come avesse visto gli ufo. E l’altro quando sulla collina in attesa che alla sera ci fosse la messa, comincia a piovere e nonostante il freddo, il fango Matteo mi fa: “Oh, ero felice!”.
So di essere stato troppo veloce ma se dovessi scrivere tutto ci vorrebbe mezzo libro, quindi concludo con un paio di veloci riflessioni.
La prima riguarda i mezzi di informazione e quello che ci hanno mostrato della giornata mondiale della gioventù. La sensazione che ho avuto leggendo e guardando la tv era che tutti gli spagnoli fossero contro la manifestazione per via dei costi (contestazione che condivido visto la situazione economica della spagna e i molti silenzi della Chiesa su temi importanti, e lo scarso esempio che sta dando) e che i ragazzi arrivati li fossero dei mezzi parassiti. Poi, parlo con Matteo un paio d’ore e capisco che i giornali e tutti i media non guardano alle persone ma semplicemente alle istituzioni, al Papa, al governo spagnolo, alla proteste (generalizzando e banalizzando). Ma se io, come molti altri, abbiamo la fortuna di essere portati dentro a queste cose da persone che le hanno vissute in prima persona, ti accorgi che i singoli aspirano a cose diverse, chiedono cose diverse e vogliono essere ascoltati per quello che sono, senza tanti clamori. Eugenia e Matteo, finendo qui questo post, mi hanno fatto capire che ci sono forse non milioni, ma decine di migliaia di persone che vogliono vivere in maniera diversa, al di fuori di quello che ci impone la politica, la tv, i giornali, la crisi economica o i mercati. Vogliono essere, sperimentare, vedere, capire. Loro due hanno imparato una lezione, altrettanto ho fatto io toccando attraverso i loro racconti cosa sia la vita reale, al di fuori dei preconcetti, degli schemi, dei doveri e della frenesia quotidiana che ti fa dimenticare un sacco di sensazioni e emozioni.
P.S: aggiorno sto articolo il giorno dopo averlo scritto aggiungendo una considerazione che mi ha passato Eugenia sul suo viaggio:
“Il viaggio in carovana è un'esperienza rigenerante e allo stesso tempo spossante. E' complicato da spiegare in poche parole però volendo essere concisi si può definire come un viaggio "sociologico", nel senso più antico e profondo del termine "viaggio". Non è una vacanza come la intendiamo adesso ma è un modo per affrontare la vita e le persone diversamente da come solitamente siamo abituati a fare: il tempo non è un problema e gli imprevisti sono l'occasione per fare nuove esperienze. Io penso che sia fantastico riuscire a vivere (anche se per poche settimane) senza vincoli di tempo e spazio, senza l'angoscia di sbagliare o di avere dei vincoli obbligatori da rispettare. “

domenica 28 agosto 2011

L'alberello di casa nostra....(dedicato a Marta)


Questa è una idea nata dalla mia ragazza, Marta, qualche mese fa. Fine dicembre 2010, avevamo appena finito di montare la cucina nella casa nuova, avevamo ancora roba sparsa per la casa, mancavano ancora i mobili (alcuni mancano tutt’ora) ma era pur sempre natale. Eravamo però senza albero (di addobbi invece dentro le scatole magiche di mia morosa c’è veramente qualsiasi cosa) e non si sapeva bene come fare.
Decidemmo quindi di andare nel fosso dietro casa e tagliare un ramo di un albero che ci potesse stare in casa e che non fosse troppo ingombrante. Lo portammo a casa, lo riempimmo di addobbi e lucette, e per un paio di settimane fece la sua porca figura in salotto.
Passarono le due settimane, passò gennaio e l’alberello era sempre li. Ad un certo punti ci accorgemmo che visto il caldo della stanza sui rami stavano spuntando le gemme e le prime foglioline. La Marta presa da amore floreale un giorno mi guardò e mi disse: “Guai a te se lo porti via, non vorrai mica ammazzarlo adesso che sta facendo i fiorellini”. La “minaccia servì” e l’alberello sopravvisse al natale e anche al carnevale.
Ma era spoglio e non aveva una bellissima cera dirla tutta, e li la donna di casa ebbe un’idea eccezionale che li per li non compresi benissimo, ma di cui ora invece vedo i risultati. Una sera mi fa: “E perché non lo trasformiamo nell’albero dei desideri?”. Ovvero?? Ovvero, invece che addobbarlo con le stelle di natale, con i fili d’orati e gli angioletti ci mettiamo i nostri desideri, i nostri momenti belli e brutti, i nostri ricordi.
Oh manco a dirlo in pochissimi giorni l’albero si ritrovò sommerso di foto, frasi, piccoli gingilli che riguardavano e riguardano tutt’ora la nostra vita di coppia, la nostra infanzia, ma non solo, io c’ho messo delle frasi motivazionali, la Marta l’ha abbellito con delle foto e nastrini presi da ogni parte del mondo, oppure oggetti etnici regalati da amici nostri.
Ma non ci fermammo li, anzi la Marta non si fermò li. Preparò tanti cartoncini di vario colore in modo che ogni persona che veniva a trovarci potesse lasciare un suo pensiero e se voleva prenderne uno dei nostri. Una specie di scambio libero, dove tu potevi dare e ricevere, o solo portare via o anche solo lasciare li un tuo pensiero. L’idea era molto interessante perché così tutta la gente che sarebbe passata per casa nostra sarebbe stata legata idealmente a quell’albero e a quello che esprimeva, ovvero la possibilità di essere liberi, liberi nel scrivere un pensiero, liberi di portarsi via qualcosa che era appeso senza dove per forza dire: “Posso?”. Una specie di zona franca dove ognuno poteva essere ciò che voleva e poteva esprimerlo nel modo che preferiva.
Ad oggi sto alberello è ancora li, ormai sommerso da qualsiasi cosa, principalmente mia e della Marta, perché chi viene a trovarci a volte si dimentica, molte volte non gli interessa o non ne capisce lo scopo. Nessun problema ovviamente ma noi ogni volta che qualcuno passa per di qua gli ricordiamo questo piccolo gesto, che pare insignificante. Invece ogni pezzettino di carta, o foto o oggetto che c’è li ha una storia da raccontare, è un pezzetto anche piccolo di una persona. Fra qualche anno potremmo ricordare sorridendo quel bigliettino, quel foglio ricordando situazioni, emozioni, persone che magari non vediamo più da tempo ma che sono nel nostro cuore. È un bel esercizio per ricordarci che siamo tutti collegati uno con l’altro, ma collegati veramente. In pratica è un nostro piccolo facebook dove però non puoi mettere solo “mi piace”. Devi mostrarti per quello che sei, e lo fai di persona e non dietro ad un freddo schermo.
L’ultimo regalo ricevuto e appeso sull’albero è un ciuffo di capelli viola di Alberto. Fra qualche mese ci faremo una risata sul quel ciuffo, o sul colore o magari ci verranno in mente altri situazioni. Abbiamo creato nel nostro piccolo una rete vera e propria, fatta di cose materiali, che possiamo toccare, guardare, leggere. Abbiamo trasformato quell’albero in un strumento di dialogo. E tutto questo grazie a chi ha visto in quell’albero qualcosa che andava oltre a due rami e un po’ di foglie. Grazie Marta, grazie di tutto.

martedì 23 agosto 2011

Where amazing happens....


A volte le esperienze che ti riportano a contatto con te stesso, con le cose vere e con le tue emozioni capitano quasi per caso o comunque in modo semplice, senza tanti programmi o progetti. E così è stata questa volta.
È il primo weekend di agosto, il nostro amico Diego ci propone un weekend in montagna in val Visdende in baita. E non si può rifiutare l’aria buona, i paesaggi incantevoli, il buon cibo, le camminate nei boschi ma soprattutto la buona compagnia. Sono questi i primi pensieri che mi passano per la testa, passare 3 giorni di relax, di tranquillità, senza grandi pensieri.
Andrà molto oltre questa breve e apparentemente banale esperienza, ma procedo per gradi senza saltare da un pensiero all’altro.
Si parte il venerdì mattina, con l’afa padana che già ti morsica la pelle, il viaggio è abbastanza lungo, attorno alle 3 ore, ma lo affrontiamo (io e Marta) ascoltando musica, leggendo il giornale, senza fretta.
All’arrivo, piove, una pioggerellina leggera, quasi piacevole. Diego ci porta sul monte sopra casa sua per mostrarci la vallata. Arrivato in cima, ti pare di essere sul tetto del mondo e il silenzio tutto attorno è impressionante, e va quasi in contrapposizione con l’enormità del luogo. Montagne, vallate, boschi e tutto intorno silenzio, perfetto quasi a rispettare la maestosità del luogo. L’unica interruzione è quando le campane dei paesetti sottostanti cominciano a suonare e la vallata si trasforma in una specie di anfiteatro. Meraviglioso.
Mi siedo li, e la sensazione è strana, di quelle che ti colgono impreparato. Penso che a casa, tra il cemento, le macchine, il lavoro, la fretta, la confusione, la tecnologia mi sento (o ci sentiamo?) dei super uomini, dove nulla ci è impossibile, dove possiamo fare qualsiasi cosa, perfino sopraffare la natura e i suoi ritmi. Seduto li, sopra quella montagna, tutto quello che c’è attorno mi sta dicendo che io sono una parte quasi dimenticata. Le montagne, gli alberi altissimi e immobili, l’erba e tutto quello che ci vive in mezzo mi stanno dicendo che sono solo un frammento di qualcosa più grande di me, che non posso controllare, ma solo ammirare con rispetto. Sono un po’ sorpreso, la natura senza nessun movimento apparente mi fa capire che non è la frenesia, non è il potere, non è quello che posseggo che mi distingue.
E questa sensazione non mi abbandonerà più per tutti e 3 i giorni.
Come alla sera quando si va a mangiare in una trattoria li vicina, entrando vedo i vecchi del paese che giocano a carte. Visi sinceri, duri, ma che dopo l’iniziale diffidenza per capire chi sono questi 2 “forestieri” si aprono in saluti e sorrisi. La padrona ci tratta con estrema cortesia, si scambiano 2 battute in ladino che noi non capiamo, e la cucina è deliziosa.
Ci alziamo da tavola, sarà tardissimo penso guardando fuori, guardo l’orologio e sono solo le 9 e mezza. Giù a casa staremmo probabilmente uscendo o forse finendo di mangiare, qui il buio la fa da padrone e andare a letto non sembra così fuori luogo. Si chiacchiera a casa davanti alla stufa e al profumo di legno, pensieri che sembrano così distanti quassù che sembra di parlare in terza persona.
Si va a letto, perché il bello di quel posto è che il cellulare non prende, non c’è televisione, il pc funziona solo con la batteria (ma portarlo via mi pare inutile). Senza tecnologia che ti tiene on line 24 al giorno scopri di avere un sacco di tempo libero per fare mille altre cose, ti senti più libero, più vicino a te stesso, più a contatto con quello che ti sta attorno. Per 3 giorni non so cosa succede al mondo, non so come evolve la crisi economica, non seguo la politica, non ho impegni o obblighi, sono solo io a capire come impegnare il tempo, a riscoprire cose che non facevo da anni, tipo il sabato mattina quando si va in mezzo ai boschi a cercare i funghi per il pranzo della domenica. E quella sensazione di prima torna fuori, stando dentro a quei boschi, tra gli alberi scopri che la natura è invece frenetica, è sempre in movimento, ma non fa rumore, non è appariscente, non si mette in mostra, non è individualista. Il parallelo con la nostra vita è immediato, dove invece la gente fa casino (in tv, per strada, nei luoghi di ritrovo pubblici), è “costretta” ad apparire e totalmente concentrata su se stessa.
Chiudo qua, altrimenti trasformerei questo post in una banale telecronaca, ma non prima di tornare purtroppo alla realtà. Domenica, apro un libricino di Diego di proverbi ladini, e tra i tanti mi cade l’occhio su uno che tradotto suona più o meno così: “Se buchi un ricco, sanguinano i poveri”. Chiudo il libro, e capisco che non siamo ancora pronti noi tutti a vivere in maniera diversa, dedicandoci a quello che ci piace e non a quello che dobbiamo fare, a ritornare parte di questo mondo invece di sopraffarlo e distruggerlo. Questi 3 giorni mi lasciano dentro da una parte un senso di gioia e pace estrema per aver riscoperto una dimensione diversa, dall’altra un filo di tristezza perché ci siamo allontanati sempre di più dalla nostra terra, dalla natura senza capire quanto questo sia tragico.
Mi concedo un ringraziamento, e lo rivolgo a Diego che ci ha aperto le porte di casa sua e ci ha fatto sentire in perfetta sintonia con quello che ci circondava. Trovare persone così speciali, disinteressate e disponibili è cosa rara e difficile.

P.S: la poenta sul caliero iera fantastica!!!!

mercoledì 17 agosto 2011

Aiuto....la crisi economica!!!


Mi è servito più di un anno per tornare a scrivere sul mio blog. Volevo farlo prima, molto prima di oggi, ma per tanti motivi non l’ho più fatto; principalmente per la mancanza cronica di tempo da poter dedicare ai miei scritti, buttar giù pensieri da riordinare il giorno seguente per trovare una storia bella da raccontare, interessante per chi scrive. Non vi nascondo che scrivere serve molto più probabilmente a me, perché lo vivo come un momento mio, io e i miei pensieri. Accendo il pc, mi butto sul divano, le gambe distese sulla poltrona, apro la finestra per lasciar entrare le ultime ore del giorno e quella leggerissima brezza che ti scivola addosso. Il succo di frutta c’è, il bicchiere è pieno, posso cominciare a narrare allora.
Oh, manca una cosa, musica, mi serve sempre!! Alessia mi ha recuperato “Still I rise” di 2pac, niente di meglio di un po’ di west coast per concentrarsi.
Intanto, perché un anno di assoluto silenzio? Perché se vuoi scrivere di argomenti importanti, hai bisogno di tante informazioni, di diverso tipo e da diverse fonti. In questo anno passato a leggere e raccogliere dati sono successe tante cose. La mia ragazza mi ricorda sempre che finché sto li a leggere e informarmi mi perdo un sacco di cose perché il mondo va avanti, e in effetti ha ragione.
L’argomento in questione è sta dannata crisi economica dove tutti parlano e dove tutti si professano luminari, ma anche dove nessuno ci capisce più niente e nessuno tra politici o economisti hanno ricette alternative per farci uscire.
Non vi voglio annoiare con numeri, cifre, statistiche e roba del genere, non le ho mai capite nemmeno io, provo però a mettere assieme alcuni pensieri per dimostrarvi come ad oggi non c’è via di uscita, non c’è miglioramento e non ci sarà nessuna ripartenza, a meno che…..
E allora cos’è questa crisi? È il capitolo finale della globalizzazione, osannata o odiata, ma di fatto il perno del nostro sistema economico, e quando dico nostro intendo di tutti i paese sviluppati (industrialmente sviluppati, perché sul resto ne possiamo discutere finché volete).
Cosa è successo in questi anni? Che ci hanno rubato i nostri diritti, la nostra sovranità senza che noi nemmeno ce ne accorgessimo. Dieci anni fa, quando entrammo nell’euro, ricordo ancora un servizio in tv, il 1° gennaio, quando molta gente veniva intervistata al bar e veniva chiesto loro come era sta nuova moneta. Ovviamente la gente diceva di essere contenta, che non cambiava nulla, che alla fine era sempre una moneta. Ma finché giornalisti, media, politici, e noi tutti eravamo intenti a pagare quel caffè, era invece successo qualcosa di molto grave, anzi di distruttivo. Sotto i nostri occhi l’entrata nell’Europa unita aveva sancito la perdita della sovranità monetaria, che potrebbe non dirvi nulla, ma la sostanza è che da quel momento la moneta che lo stato utilizzava per pagare le pensioni, la ricerca, le infrastrutture, la sanità, la scuola e tutto il resto era di proprietà privata e l’Italia (come tutti gli altri Paesi della EU del resto) avrebbe dovuto entrare nei mercati privati per procacciarsi le risorse necessarie per mandare avanti la macchina. La cosa tragica ovviamente è che quei capitali privati richiedevano e richiedono tutt’ora interessi altissimi (diciamo circa 60-80 miliardi di euro l’anno per quanto riguarda l’Italia). Ma soprattutto che se è un privato a prestarti i soldi, quel privato vuole vedere il tuo bilancio e vuol sapere se sei in ordine con i conti (vi ricorda qualcosa dei recenti titoli giornalistici o televisivi). E quindi se il tuo debito è troppo alto, se la tua crescita è scarsa e hai un governo litigioso, quegli interessi verranno pagati sempre più cari. Un po’ come la coppia che va in banca per chiedere un mutuo ma hanno già 2 finanziamenti, 2 stipendi bassi e litigano davanti al direttore. Un direttore serio, non concederebbe mai un mutuo, a meno che non ci siano altre garanzie da intaccare. Quello che è successo in anni e anni (quindi anche prima dell’entra nell’euro) è che i nostri politici ed economisti, coadiuvati dai giornalisti ci hanno fatto credere che il bilancio di stato è come un bilancio famigliare. Ovvero, non puoi spendere di più di quello che guadagni. Ma questa teoria è del tutto sbagliata.
Come si fa ad uscire da una crisi del genere se ci vengono tagliati diritti, salari, ci vengono aumentate le tasse, precarizzato il lavoro e le aziende delocalizzano o chiudono? Dobbiamo capovolgere le nostre idee e dire ad esempio che il debito dello Stato è la ricchezza dei suoi cittadini. Altrimenti come ho letto ieri sul giornale di Vicenza (15 agosto) nell’editoriale ci viene detto che dobbiamo pagare tutti, fare sacrifici e stringere la cinghia perché tanto gli italiani lo sanno fare. Ed invece non deve andare per forza così, con la massa a fare la fame e pochi a godersela. I nostri politici, i nostri banchieri centrali e chi detiene il potere in questo momento dovrebbero essere incriminati per crimini contro l’umanità, per aver generato povertà, per aver ingannato milioni di persone. 8 milioni sono gli italiani che vivono sotto la soglia di povertà. Non ci basta? Il 30% dei giovani è senza lavoro! Non ci basta? Le nuove generazioni hanno per la maggior parte contratti a tempo determinato! Non ci basta? Gli stipendi dei dirigenti sono aumentati a dismisura mentre quello degli operai e impiegati sono bloccati ormai da anni! Non ci basta? 1 persona su 10 non si riscalda durante l’inverno! Non ci basta? I mercati comandano a piacimento e il governo qualsiasi cosa faccia è sempre sotto ricatto. Non siete stanchi di sentire sempre le solite manfrine ogni singolo giorno? I sindacati fanno finta di opporsi, poi firmano, poi si separano, poi scioperano contro il governo che non conta più nulla. L’opposizione fa finta di non sapere quali siano i precisi dettami europei per il contenimento del debito, e quali ricette ci obblighi ad adottare. Ho parlato con tanta gente in quest’ultimo anno, ma tanti, veramente tanti quando parlano di crisi non conoscono i motivi, li ignorano, credono che certi temi siano marginali quando invece sono il nocciolo. Sperano in qualcuno che però non arriverà mai! Se dici che l’Europa ci sta stringendo un cappio al collo, ti ridicolizzano e ti danno dell’anti europeista. Se chiedi perché secondo loro ridurre il debito è una buona cosa non ti rispondono. Se gli parli di FMI, BCE, BRI fanno finta di conoscere, ma non sanno quasi nulla di questi organismi potentissimi che decidono senza essere mai stati democraticamente eletti. Io personalmente sono stufo marcio di sentire che tanto tra un po’ andrà meglio, basta far cadere sto governo di papponi e si risolve la crisi. Non è vero signori, e lo sapete meglio di me. Ci hanno fregato, la generazione dei miei genitori, è stata completamente ingannata, non sono stati in grado di frenare l’ascesa delle teorie neo liberiste di destra e contrapporre un modello sociale degno di questo nome. E ora chiedono a noi di pagare, ma il proverbio non diceva che ci sbaglia paga?
Le soluzioni ci sono e vanno nella direzione opposta delle ricette odierne, tutte tese a privatizzare, liberalizzare, precarizzare, delocalizzare, tagliare e via con questa minestra. Vi basta prendere 4-5 giornali in uno di questi giorni, e leggere gli editoriali degli economisti o dei direttori. Vi accorgerete che a 360 gradi tutti chiedono esattamente quello che ho scritto 2 righe fa. Perché? Perché tutto hanno la stessa estrazione, e per rimanere visibili dentro a quel circolo di potere non si possono discostare. Sono replicanti, senza un pensiero vero e proprio, riportano solo teorie scritte nei libri.
Ma l’alternativa c’è. E siete voi, siamo ognuno di noi, che da questo momento in poi ci dobbiamo impegnare a ricercare una via alternativa a questo modello destinato a schiantarsi in breve tempo. Ma per cercare una alternativa bisogna conoscere le teorie che ora comandano in Europa. In breve vi posso dare qualche indicazioni, (altrimenti il mio amico Diego si incazza, ovviamente scherzo!!!) su cosa andrebbe fatto per uscire dalla crisi (senza la presunzione di avere la ricetta per tutti i mali, ma almeno propongo un sistema alternativo a questo che si è già dimostrato perdente):
- ritornare ad una sovranità monetaria dove la moneta che usiamo per la spesa pubblica non sia più in mano ai privati, che ci costringono a pagare interessi sempre più pesanti
- tassare i proventi finanziari non del 12,5%, non del 20%, ma almeno del 30%
- proteggere i nostri prodotti e le nostre lavorazioni e difendere le aziende.
- Non permettere una delocalizzazione selvaggia
- Creare un vero stato sociale, dove si spende per la ricerca, per l’istruzione, per reintrodurre la gente nel mondo del lavoro, per avere pensioni dignitose per tutti.
- Nazionalizzare le imprese che creano la spina dorsale del paese (banche, poste, telecomunicazioni, energie)
Ecco cosa intendevo prima per “a meno che”. I sei punti di cui sopra possono essere l’inizio di una alternativa (tenendo ferma la lotta alla mafia, la corruzione, gli spreci ecc ecc.)
So che sembra quasi eretico, ma gli esempi ci sono. L’Argentina nel 2001 abbandonò i dettami dell’FMI, non pagò più il debito estero, nazionalizzò le industrie portanti del Paese e adesso ha un pil in crescita attorno al 7%, nonostante l’inflazione. L’Islanda ha “licenziato il governo”, si è data una nuova costituzione e ha congelato il debito estero e sta ripartendo.
Vedete, la scelta sta a noi, la Grecia da 2 anni segue i dettami dell’FMI e della UE, e ogni giorno va peggio, ogni giorno ci sono scontri e manifestazioni. 1400 morti secondo le autorità da quando è iniziata la crisi. Hanno polverizzato uno dei più gloriosi territori della nostra umanità solo per imporre le loro teorie. La Spagna e il Portogallo sono sulla stessa barca, e perché noi non dovremmo esserci? Solo perché siamo italiani? Balle, balle enormi! Sta a noi, a te che leggi, capire il dramma che si sta realizzando e porre fine a questo gioco al massacro, altrimenti come ci ricorderanno i nostri figli da qualche anno? Come faremo quando ci chiederanno dove eravamo mentre l’Italia e l’Europa andava a rotoli? Non potremo certamente rispondere che non sapevamo!
È finito il cd di 2pac, e una frase dell’ultima canzone recita: Do or Die!! Fallo o muori. Siamo arrivati a questo, dobbiamo lottare per la nostra sopravvivenza e per quella delle generazioni future. Non possiamo fare la fine della generazione precedente, che offuscata dal bum economico si è dimenticata dei propri diritti! Dobbiamo abbandonare questo treno e costruircene uno nostro, migliore. E’ uno sforzo enorme, sovraumano ma che non ha alternative.