domenica 28 agosto 2011

L'alberello di casa nostra....(dedicato a Marta)


Questa è una idea nata dalla mia ragazza, Marta, qualche mese fa. Fine dicembre 2010, avevamo appena finito di montare la cucina nella casa nuova, avevamo ancora roba sparsa per la casa, mancavano ancora i mobili (alcuni mancano tutt’ora) ma era pur sempre natale. Eravamo però senza albero (di addobbi invece dentro le scatole magiche di mia morosa c’è veramente qualsiasi cosa) e non si sapeva bene come fare.
Decidemmo quindi di andare nel fosso dietro casa e tagliare un ramo di un albero che ci potesse stare in casa e che non fosse troppo ingombrante. Lo portammo a casa, lo riempimmo di addobbi e lucette, e per un paio di settimane fece la sua porca figura in salotto.
Passarono le due settimane, passò gennaio e l’alberello era sempre li. Ad un certo punti ci accorgemmo che visto il caldo della stanza sui rami stavano spuntando le gemme e le prime foglioline. La Marta presa da amore floreale un giorno mi guardò e mi disse: “Guai a te se lo porti via, non vorrai mica ammazzarlo adesso che sta facendo i fiorellini”. La “minaccia servì” e l’alberello sopravvisse al natale e anche al carnevale.
Ma era spoglio e non aveva una bellissima cera dirla tutta, e li la donna di casa ebbe un’idea eccezionale che li per li non compresi benissimo, ma di cui ora invece vedo i risultati. Una sera mi fa: “E perché non lo trasformiamo nell’albero dei desideri?”. Ovvero?? Ovvero, invece che addobbarlo con le stelle di natale, con i fili d’orati e gli angioletti ci mettiamo i nostri desideri, i nostri momenti belli e brutti, i nostri ricordi.
Oh manco a dirlo in pochissimi giorni l’albero si ritrovò sommerso di foto, frasi, piccoli gingilli che riguardavano e riguardano tutt’ora la nostra vita di coppia, la nostra infanzia, ma non solo, io c’ho messo delle frasi motivazionali, la Marta l’ha abbellito con delle foto e nastrini presi da ogni parte del mondo, oppure oggetti etnici regalati da amici nostri.
Ma non ci fermammo li, anzi la Marta non si fermò li. Preparò tanti cartoncini di vario colore in modo che ogni persona che veniva a trovarci potesse lasciare un suo pensiero e se voleva prenderne uno dei nostri. Una specie di scambio libero, dove tu potevi dare e ricevere, o solo portare via o anche solo lasciare li un tuo pensiero. L’idea era molto interessante perché così tutta la gente che sarebbe passata per casa nostra sarebbe stata legata idealmente a quell’albero e a quello che esprimeva, ovvero la possibilità di essere liberi, liberi nel scrivere un pensiero, liberi di portarsi via qualcosa che era appeso senza dove per forza dire: “Posso?”. Una specie di zona franca dove ognuno poteva essere ciò che voleva e poteva esprimerlo nel modo che preferiva.
Ad oggi sto alberello è ancora li, ormai sommerso da qualsiasi cosa, principalmente mia e della Marta, perché chi viene a trovarci a volte si dimentica, molte volte non gli interessa o non ne capisce lo scopo. Nessun problema ovviamente ma noi ogni volta che qualcuno passa per di qua gli ricordiamo questo piccolo gesto, che pare insignificante. Invece ogni pezzettino di carta, o foto o oggetto che c’è li ha una storia da raccontare, è un pezzetto anche piccolo di una persona. Fra qualche anno potremmo ricordare sorridendo quel bigliettino, quel foglio ricordando situazioni, emozioni, persone che magari non vediamo più da tempo ma che sono nel nostro cuore. È un bel esercizio per ricordarci che siamo tutti collegati uno con l’altro, ma collegati veramente. In pratica è un nostro piccolo facebook dove però non puoi mettere solo “mi piace”. Devi mostrarti per quello che sei, e lo fai di persona e non dietro ad un freddo schermo.
L’ultimo regalo ricevuto e appeso sull’albero è un ciuffo di capelli viola di Alberto. Fra qualche mese ci faremo una risata sul quel ciuffo, o sul colore o magari ci verranno in mente altri situazioni. Abbiamo creato nel nostro piccolo una rete vera e propria, fatta di cose materiali, che possiamo toccare, guardare, leggere. Abbiamo trasformato quell’albero in un strumento di dialogo. E tutto questo grazie a chi ha visto in quell’albero qualcosa che andava oltre a due rami e un po’ di foglie. Grazie Marta, grazie di tutto.

martedì 23 agosto 2011

Where amazing happens....


A volte le esperienze che ti riportano a contatto con te stesso, con le cose vere e con le tue emozioni capitano quasi per caso o comunque in modo semplice, senza tanti programmi o progetti. E così è stata questa volta.
È il primo weekend di agosto, il nostro amico Diego ci propone un weekend in montagna in val Visdende in baita. E non si può rifiutare l’aria buona, i paesaggi incantevoli, il buon cibo, le camminate nei boschi ma soprattutto la buona compagnia. Sono questi i primi pensieri che mi passano per la testa, passare 3 giorni di relax, di tranquillità, senza grandi pensieri.
Andrà molto oltre questa breve e apparentemente banale esperienza, ma procedo per gradi senza saltare da un pensiero all’altro.
Si parte il venerdì mattina, con l’afa padana che già ti morsica la pelle, il viaggio è abbastanza lungo, attorno alle 3 ore, ma lo affrontiamo (io e Marta) ascoltando musica, leggendo il giornale, senza fretta.
All’arrivo, piove, una pioggerellina leggera, quasi piacevole. Diego ci porta sul monte sopra casa sua per mostrarci la vallata. Arrivato in cima, ti pare di essere sul tetto del mondo e il silenzio tutto attorno è impressionante, e va quasi in contrapposizione con l’enormità del luogo. Montagne, vallate, boschi e tutto intorno silenzio, perfetto quasi a rispettare la maestosità del luogo. L’unica interruzione è quando le campane dei paesetti sottostanti cominciano a suonare e la vallata si trasforma in una specie di anfiteatro. Meraviglioso.
Mi siedo li, e la sensazione è strana, di quelle che ti colgono impreparato. Penso che a casa, tra il cemento, le macchine, il lavoro, la fretta, la confusione, la tecnologia mi sento (o ci sentiamo?) dei super uomini, dove nulla ci è impossibile, dove possiamo fare qualsiasi cosa, perfino sopraffare la natura e i suoi ritmi. Seduto li, sopra quella montagna, tutto quello che c’è attorno mi sta dicendo che io sono una parte quasi dimenticata. Le montagne, gli alberi altissimi e immobili, l’erba e tutto quello che ci vive in mezzo mi stanno dicendo che sono solo un frammento di qualcosa più grande di me, che non posso controllare, ma solo ammirare con rispetto. Sono un po’ sorpreso, la natura senza nessun movimento apparente mi fa capire che non è la frenesia, non è il potere, non è quello che posseggo che mi distingue.
E questa sensazione non mi abbandonerà più per tutti e 3 i giorni.
Come alla sera quando si va a mangiare in una trattoria li vicina, entrando vedo i vecchi del paese che giocano a carte. Visi sinceri, duri, ma che dopo l’iniziale diffidenza per capire chi sono questi 2 “forestieri” si aprono in saluti e sorrisi. La padrona ci tratta con estrema cortesia, si scambiano 2 battute in ladino che noi non capiamo, e la cucina è deliziosa.
Ci alziamo da tavola, sarà tardissimo penso guardando fuori, guardo l’orologio e sono solo le 9 e mezza. Giù a casa staremmo probabilmente uscendo o forse finendo di mangiare, qui il buio la fa da padrone e andare a letto non sembra così fuori luogo. Si chiacchiera a casa davanti alla stufa e al profumo di legno, pensieri che sembrano così distanti quassù che sembra di parlare in terza persona.
Si va a letto, perché il bello di quel posto è che il cellulare non prende, non c’è televisione, il pc funziona solo con la batteria (ma portarlo via mi pare inutile). Senza tecnologia che ti tiene on line 24 al giorno scopri di avere un sacco di tempo libero per fare mille altre cose, ti senti più libero, più vicino a te stesso, più a contatto con quello che ti sta attorno. Per 3 giorni non so cosa succede al mondo, non so come evolve la crisi economica, non seguo la politica, non ho impegni o obblighi, sono solo io a capire come impegnare il tempo, a riscoprire cose che non facevo da anni, tipo il sabato mattina quando si va in mezzo ai boschi a cercare i funghi per il pranzo della domenica. E quella sensazione di prima torna fuori, stando dentro a quei boschi, tra gli alberi scopri che la natura è invece frenetica, è sempre in movimento, ma non fa rumore, non è appariscente, non si mette in mostra, non è individualista. Il parallelo con la nostra vita è immediato, dove invece la gente fa casino (in tv, per strada, nei luoghi di ritrovo pubblici), è “costretta” ad apparire e totalmente concentrata su se stessa.
Chiudo qua, altrimenti trasformerei questo post in una banale telecronaca, ma non prima di tornare purtroppo alla realtà. Domenica, apro un libricino di Diego di proverbi ladini, e tra i tanti mi cade l’occhio su uno che tradotto suona più o meno così: “Se buchi un ricco, sanguinano i poveri”. Chiudo il libro, e capisco che non siamo ancora pronti noi tutti a vivere in maniera diversa, dedicandoci a quello che ci piace e non a quello che dobbiamo fare, a ritornare parte di questo mondo invece di sopraffarlo e distruggerlo. Questi 3 giorni mi lasciano dentro da una parte un senso di gioia e pace estrema per aver riscoperto una dimensione diversa, dall’altra un filo di tristezza perché ci siamo allontanati sempre di più dalla nostra terra, dalla natura senza capire quanto questo sia tragico.
Mi concedo un ringraziamento, e lo rivolgo a Diego che ci ha aperto le porte di casa sua e ci ha fatto sentire in perfetta sintonia con quello che ci circondava. Trovare persone così speciali, disinteressate e disponibili è cosa rara e difficile.

P.S: la poenta sul caliero iera fantastica!!!!

mercoledì 17 agosto 2011

Aiuto....la crisi economica!!!


Mi è servito più di un anno per tornare a scrivere sul mio blog. Volevo farlo prima, molto prima di oggi, ma per tanti motivi non l’ho più fatto; principalmente per la mancanza cronica di tempo da poter dedicare ai miei scritti, buttar giù pensieri da riordinare il giorno seguente per trovare una storia bella da raccontare, interessante per chi scrive. Non vi nascondo che scrivere serve molto più probabilmente a me, perché lo vivo come un momento mio, io e i miei pensieri. Accendo il pc, mi butto sul divano, le gambe distese sulla poltrona, apro la finestra per lasciar entrare le ultime ore del giorno e quella leggerissima brezza che ti scivola addosso. Il succo di frutta c’è, il bicchiere è pieno, posso cominciare a narrare allora.
Oh, manca una cosa, musica, mi serve sempre!! Alessia mi ha recuperato “Still I rise” di 2pac, niente di meglio di un po’ di west coast per concentrarsi.
Intanto, perché un anno di assoluto silenzio? Perché se vuoi scrivere di argomenti importanti, hai bisogno di tante informazioni, di diverso tipo e da diverse fonti. In questo anno passato a leggere e raccogliere dati sono successe tante cose. La mia ragazza mi ricorda sempre che finché sto li a leggere e informarmi mi perdo un sacco di cose perché il mondo va avanti, e in effetti ha ragione.
L’argomento in questione è sta dannata crisi economica dove tutti parlano e dove tutti si professano luminari, ma anche dove nessuno ci capisce più niente e nessuno tra politici o economisti hanno ricette alternative per farci uscire.
Non vi voglio annoiare con numeri, cifre, statistiche e roba del genere, non le ho mai capite nemmeno io, provo però a mettere assieme alcuni pensieri per dimostrarvi come ad oggi non c’è via di uscita, non c’è miglioramento e non ci sarà nessuna ripartenza, a meno che…..
E allora cos’è questa crisi? È il capitolo finale della globalizzazione, osannata o odiata, ma di fatto il perno del nostro sistema economico, e quando dico nostro intendo di tutti i paese sviluppati (industrialmente sviluppati, perché sul resto ne possiamo discutere finché volete).
Cosa è successo in questi anni? Che ci hanno rubato i nostri diritti, la nostra sovranità senza che noi nemmeno ce ne accorgessimo. Dieci anni fa, quando entrammo nell’euro, ricordo ancora un servizio in tv, il 1° gennaio, quando molta gente veniva intervistata al bar e veniva chiesto loro come era sta nuova moneta. Ovviamente la gente diceva di essere contenta, che non cambiava nulla, che alla fine era sempre una moneta. Ma finché giornalisti, media, politici, e noi tutti eravamo intenti a pagare quel caffè, era invece successo qualcosa di molto grave, anzi di distruttivo. Sotto i nostri occhi l’entrata nell’Europa unita aveva sancito la perdita della sovranità monetaria, che potrebbe non dirvi nulla, ma la sostanza è che da quel momento la moneta che lo stato utilizzava per pagare le pensioni, la ricerca, le infrastrutture, la sanità, la scuola e tutto il resto era di proprietà privata e l’Italia (come tutti gli altri Paesi della EU del resto) avrebbe dovuto entrare nei mercati privati per procacciarsi le risorse necessarie per mandare avanti la macchina. La cosa tragica ovviamente è che quei capitali privati richiedevano e richiedono tutt’ora interessi altissimi (diciamo circa 60-80 miliardi di euro l’anno per quanto riguarda l’Italia). Ma soprattutto che se è un privato a prestarti i soldi, quel privato vuole vedere il tuo bilancio e vuol sapere se sei in ordine con i conti (vi ricorda qualcosa dei recenti titoli giornalistici o televisivi). E quindi se il tuo debito è troppo alto, se la tua crescita è scarsa e hai un governo litigioso, quegli interessi verranno pagati sempre più cari. Un po’ come la coppia che va in banca per chiedere un mutuo ma hanno già 2 finanziamenti, 2 stipendi bassi e litigano davanti al direttore. Un direttore serio, non concederebbe mai un mutuo, a meno che non ci siano altre garanzie da intaccare. Quello che è successo in anni e anni (quindi anche prima dell’entra nell’euro) è che i nostri politici ed economisti, coadiuvati dai giornalisti ci hanno fatto credere che il bilancio di stato è come un bilancio famigliare. Ovvero, non puoi spendere di più di quello che guadagni. Ma questa teoria è del tutto sbagliata.
Come si fa ad uscire da una crisi del genere se ci vengono tagliati diritti, salari, ci vengono aumentate le tasse, precarizzato il lavoro e le aziende delocalizzano o chiudono? Dobbiamo capovolgere le nostre idee e dire ad esempio che il debito dello Stato è la ricchezza dei suoi cittadini. Altrimenti come ho letto ieri sul giornale di Vicenza (15 agosto) nell’editoriale ci viene detto che dobbiamo pagare tutti, fare sacrifici e stringere la cinghia perché tanto gli italiani lo sanno fare. Ed invece non deve andare per forza così, con la massa a fare la fame e pochi a godersela. I nostri politici, i nostri banchieri centrali e chi detiene il potere in questo momento dovrebbero essere incriminati per crimini contro l’umanità, per aver generato povertà, per aver ingannato milioni di persone. 8 milioni sono gli italiani che vivono sotto la soglia di povertà. Non ci basta? Il 30% dei giovani è senza lavoro! Non ci basta? Le nuove generazioni hanno per la maggior parte contratti a tempo determinato! Non ci basta? Gli stipendi dei dirigenti sono aumentati a dismisura mentre quello degli operai e impiegati sono bloccati ormai da anni! Non ci basta? 1 persona su 10 non si riscalda durante l’inverno! Non ci basta? I mercati comandano a piacimento e il governo qualsiasi cosa faccia è sempre sotto ricatto. Non siete stanchi di sentire sempre le solite manfrine ogni singolo giorno? I sindacati fanno finta di opporsi, poi firmano, poi si separano, poi scioperano contro il governo che non conta più nulla. L’opposizione fa finta di non sapere quali siano i precisi dettami europei per il contenimento del debito, e quali ricette ci obblighi ad adottare. Ho parlato con tanta gente in quest’ultimo anno, ma tanti, veramente tanti quando parlano di crisi non conoscono i motivi, li ignorano, credono che certi temi siano marginali quando invece sono il nocciolo. Sperano in qualcuno che però non arriverà mai! Se dici che l’Europa ci sta stringendo un cappio al collo, ti ridicolizzano e ti danno dell’anti europeista. Se chiedi perché secondo loro ridurre il debito è una buona cosa non ti rispondono. Se gli parli di FMI, BCE, BRI fanno finta di conoscere, ma non sanno quasi nulla di questi organismi potentissimi che decidono senza essere mai stati democraticamente eletti. Io personalmente sono stufo marcio di sentire che tanto tra un po’ andrà meglio, basta far cadere sto governo di papponi e si risolve la crisi. Non è vero signori, e lo sapete meglio di me. Ci hanno fregato, la generazione dei miei genitori, è stata completamente ingannata, non sono stati in grado di frenare l’ascesa delle teorie neo liberiste di destra e contrapporre un modello sociale degno di questo nome. E ora chiedono a noi di pagare, ma il proverbio non diceva che ci sbaglia paga?
Le soluzioni ci sono e vanno nella direzione opposta delle ricette odierne, tutte tese a privatizzare, liberalizzare, precarizzare, delocalizzare, tagliare e via con questa minestra. Vi basta prendere 4-5 giornali in uno di questi giorni, e leggere gli editoriali degli economisti o dei direttori. Vi accorgerete che a 360 gradi tutti chiedono esattamente quello che ho scritto 2 righe fa. Perché? Perché tutto hanno la stessa estrazione, e per rimanere visibili dentro a quel circolo di potere non si possono discostare. Sono replicanti, senza un pensiero vero e proprio, riportano solo teorie scritte nei libri.
Ma l’alternativa c’è. E siete voi, siamo ognuno di noi, che da questo momento in poi ci dobbiamo impegnare a ricercare una via alternativa a questo modello destinato a schiantarsi in breve tempo. Ma per cercare una alternativa bisogna conoscere le teorie che ora comandano in Europa. In breve vi posso dare qualche indicazioni, (altrimenti il mio amico Diego si incazza, ovviamente scherzo!!!) su cosa andrebbe fatto per uscire dalla crisi (senza la presunzione di avere la ricetta per tutti i mali, ma almeno propongo un sistema alternativo a questo che si è già dimostrato perdente):
- ritornare ad una sovranità monetaria dove la moneta che usiamo per la spesa pubblica non sia più in mano ai privati, che ci costringono a pagare interessi sempre più pesanti
- tassare i proventi finanziari non del 12,5%, non del 20%, ma almeno del 30%
- proteggere i nostri prodotti e le nostre lavorazioni e difendere le aziende.
- Non permettere una delocalizzazione selvaggia
- Creare un vero stato sociale, dove si spende per la ricerca, per l’istruzione, per reintrodurre la gente nel mondo del lavoro, per avere pensioni dignitose per tutti.
- Nazionalizzare le imprese che creano la spina dorsale del paese (banche, poste, telecomunicazioni, energie)
Ecco cosa intendevo prima per “a meno che”. I sei punti di cui sopra possono essere l’inizio di una alternativa (tenendo ferma la lotta alla mafia, la corruzione, gli spreci ecc ecc.)
So che sembra quasi eretico, ma gli esempi ci sono. L’Argentina nel 2001 abbandonò i dettami dell’FMI, non pagò più il debito estero, nazionalizzò le industrie portanti del Paese e adesso ha un pil in crescita attorno al 7%, nonostante l’inflazione. L’Islanda ha “licenziato il governo”, si è data una nuova costituzione e ha congelato il debito estero e sta ripartendo.
Vedete, la scelta sta a noi, la Grecia da 2 anni segue i dettami dell’FMI e della UE, e ogni giorno va peggio, ogni giorno ci sono scontri e manifestazioni. 1400 morti secondo le autorità da quando è iniziata la crisi. Hanno polverizzato uno dei più gloriosi territori della nostra umanità solo per imporre le loro teorie. La Spagna e il Portogallo sono sulla stessa barca, e perché noi non dovremmo esserci? Solo perché siamo italiani? Balle, balle enormi! Sta a noi, a te che leggi, capire il dramma che si sta realizzando e porre fine a questo gioco al massacro, altrimenti come ci ricorderanno i nostri figli da qualche anno? Come faremo quando ci chiederanno dove eravamo mentre l’Italia e l’Europa andava a rotoli? Non potremo certamente rispondere che non sapevamo!
È finito il cd di 2pac, e una frase dell’ultima canzone recita: Do or Die!! Fallo o muori. Siamo arrivati a questo, dobbiamo lottare per la nostra sopravvivenza e per quella delle generazioni future. Non possiamo fare la fine della generazione precedente, che offuscata dal bum economico si è dimenticata dei propri diritti! Dobbiamo abbandonare questo treno e costruircene uno nostro, migliore. E’ uno sforzo enorme, sovraumano ma che non ha alternative.