domenica 16 giugno 2013

Il sogno di una vita....(a volte capita)

Capita a volte nella vita di iniziare un viaggio quasi per sbaglio, senza conoscere la meta, senza zaino sulle spalle, solo con una maglietta, un paio di pantaloncini e le scarpe. Un viaggio preso al volo, solo per il gusto di farlo. L’estate scorsa, credo fosse luglio o forse agosto (eh la vecchiaia fa brutti scherzi) mi arriva un sms da Alberto, che non sentivo da anni. Abbiamo giocato assieme nlle giovanili in Trasteverina, poi le nostre strade si sono divise. L’sms ha più o meno questi toni: “Mit, ti andrebbe di dare una mano a fare un campionato di seconda divisione, la giochiamo con gli under 19, servirebbero due tre figure con esperienza, che dici?”. Era finita da poco una stagione disastrosa a Camisano, volevo in realtà fermarmi col basket. La risposta fu più o meno questo: “Alberto, ho già dato parola ai ragazzi della pallavolo, se vuoi io posso forse fare un allenamento e una partita ogni tanto, quest’anno va così, non ti posso promettere di più.” Già immaginavo la risposta di Alberto: “Ah ok, allora vai tranquillo, ci sentiamo per l’anno prossimo”, e invece no, mi “incastra” con un sms fuori script: “Bè, ok va benissimo”. Come va benissimo? Ti ho detto che posso venire ogni tanto se posso, e per te va bene? Non avevo ancora capito nulla dell’ambiente dove mi sarei trovato a giocare. Al primo allenamento mi sentivo così fuori posto, che un mujaheddin al centro commerciale si sarebbe sentito decisamente più a suo agio. Giovanotti di 17-18, decisamente troppo hi-tech per il sottoscritto e appartenenti ad un’altra epoca (in senso buono). I “vecchi” sono, in ordine sparso: Orso, Rajo, Checco Matteazzi, Matteo Pigato e il sottoscritto. Con calma durante questo post li conosceremo tutti. Si va dritti alla prima di campionato contro Longare, vittoria di 50 punti che non ti aspetti, festa, tanta festa, ricordo che Ricky viene da me a fine partita e mi fa: “Oh Mit, però dai, secondo me siamo da playoff”. “Ehmmm, Ricky, siamo alla prima di campionato e io non sono Damiano il mago di Milano, magari tra 3-4 mesi ti so dire meglio eh.” Giustamente alla seconda perdiamo fuori casa a Bassano di misura. La terza di campionato è a Noventa ad orari improponibili per un mercoledì sera, ore 21.15. Trasferta in macchina con Mauro (da ora in poi solo Mourihno) che praticamente conosce tutte le osterie/ristoranti/bar della riviera berica perché sono tutti suoi clienti. Capisco che adora il baccalà perché ogni volta che passa per di qua, si ferma in un ristorante con il quale ha una tresca e fa scorta per un paio di anni. Vinciamo sto giro per merito di un terzo quarto clamoroso di quello che sopra mi chiedeva info per i playoff. Mette un paio di triple che spaccano la partita in due. Da li in poi 7 vittorie in fila, alcune tirate (vedi Caldogno in casa), altre senza particolari patemi, ma ad ogni partita gli automatismi funzionavano sempre meglio, scoprivamo di essere un gruppo solido, di essere in grado di vincere e divertirsi, di prenderla sempre sul ridere con l’idea che la miglior partita sarebbe stata quella successiva. L’ultima di andata è contro Schio, prima in classifica, noi due punti indietro, loro imbattuti. Per tutta la partita ci hanno insegnato basket, sono volati a +18, l’abbiamo rimessa in piedi con i denti ma loro non hanno mai perso il filo del discorso. Sconfitta con qualche black out da parte dei più giovani, ma nessuna tragedia. Chiudiamo il girone di andata con una sconfitta, roba che se ce lo dicevano a inizio anno prendevamo tutti per pazzi scatenati. Girone di ritorno più complesso, perché vengono un po’ a mancare le energie, soprattutto per i più giovani che facevano doppio campionato. Perdiamo male, ma male male a Lonigo e a Caldogno. Come sempre in questa stagione nessuno che sale sul banco degli imputati, nessun processo, il giorno dopo si tornava in palestra a lavorare, a migliorare la chimica, a capire gli errori. È stata una bellissima sensazione vedere come anche dopo sconfitte sanguinose, si tornasse ancora più convinti di prima, con l’idea che non si poteva mollare. La ciliegina sulla torta è la vittoria in casa 59-55, con tripla finale di Checco Matteazzi (aka “quandocontasegnosempre”) contro Schio all’ultima di campionato che credo ci abbia consegnato l’idea che potevamo vincere contro tutti e tutto. Se abbiam battuto loro, perché non possiamo rifarlo nei playoff? La semifinale dice Caldogno-Quinto e l’idea di giocarci contro non piace molto, perché ci hanno battuto, sono più esperti, più pesanti sotto canestro. E invece in gara1 da loro si consuma la “vendetta” perfetta con una vittoria sopra ogni aspettativa. Abbiamo giocato con una intensità da serie D, abbiamo giocando con una confidenza che non avevo mai visto, eseguito gli schemi e difeso alla morte. Uno su tutti spicca sulla partita, Checco Matteazzi che mette a referto solo 2 punti, ma porta a casa 9 rimbalzi vitali per noi, difende, recupera palloni. In spogliatoio gliela spiego molto semplicemente: “Checco, per me la tua miglior partita della stagione”. La promozione era distante altri 40 minuti, gara2 in casa nostra. Sabato 18 maggio era tutto pronto per la gran festa, ma per te quarti era più una guerra che una festa. Poi come già capitato, sempre quello del : “Oh Mit, però dai, secondo me siamo da playoff” decide che è ora di chiudere i conti, mette due triple in un amen, ruba palla dalla rimessa e segna il solco definitivo che apre le vie della vittoria. Decisamente da ricordare papà Cogno, che in tribuna era rosso paonazzo al limite dell’infarto e papà Beppe (Ilaria) che al tavolo minaccia gli avversari (SCIENZIATO!!!). Mentre il cronometro si avvicinava allo zero mi guardavo attorno, guardavo i miei compagni e onestamente non avrei mai pensato di vivere queste sensazioni. A inizio anno, come avevo già fatto notare a tutti, sembravamo l’armata branca leone, invece ora in campo tutti avevano fatto il loro compito, con la massima dedizione e con la massima disponibilità a sacrificarsi per i compagni. Ricordo che a metà stagione prima di una partita, in spogliatoio ricordavo a tutti che non capita molto spesso in una carriera di arrivare primi, e quando si ha la possibilità di farlo bisogna dare tutto e crederci fino in fondo. Questo ragazzi hanno colto al volo il mio consiglio. Credo che l’esempio arrivi da un paio di personaggi in particolare: Rajo e Orso che almeno per me, ogni volta che scendevo in campo mi davano la certezza che la sotto nessuno, e dico proprio nessuno avrebbe preso un rimbalzo o segnato facile. La sensazione di avere due guardie del corpo, pronte a sacrificarsi per non concedere nemmeno un centimetro ai nemici. Vedere Orso andare a raccattare i palloni letteralmente dalla spazzatura mi esaltava ogni volta. Erano quei classici palloni che il 99,9% dei giocatori considera persi, lui no, lui ci andava come se fosse una questione di vita o di morte. Quanti palloni recuperati? A dozzine, e credo sia uno dei segreti della nostra vittoria. E vale lo stesso per Rajo, recuperato fresco da una operazione al ginocchio, che sulla linea di fondo ha fatto vedere dei movimenti che Lebron li deve ancora imparare. Personaggio decisamente sopra le righe, a lui non serviva la preparazione atletica, ma solo un altro giro di Gin Tonic. Mancava la finale per chiudere il cerchio, per dare un senso compiuto a questo viaggio. Martedì 28 maggio, ore 20.00 a Montecchio contro Schio. Proprio come nei film dove i buoni devono vincere, partita sempre in controllo, anche sul +10 con ottimo basket e buona difesa. Schio che rimonta fino al -1 (41-40) e con il tiro del sorpasso che però va sul ferro. Noi che riallunghiamo sul +10 (50-40) ma incapaci di chiudere la partita. A 15 secondi dalla fine, 50-49 per noi, palla al sottoscritto che va a cercarsi un fallo in penetrazione. 2-2 dalla lunetta e altra vittoria, ma sto giro si alza la coppa, la prima per la società. E vai con la festa, foto, abbracci, urla, il Presidente che sfoggia una bandiera 2metrix2metri bianco rossa. Giò mi viene incontro e mi fa: “Mit, ma sei emozionato?” e io fingendo autocontrollo: “Io? Nooo…nono” trattenendo le lacrime per un pelo. A proposito, Giò complimenti per la partita, hai fatto esattamente quello che dovevi, prendere rimbalzi, segnare i palloni che ricevevi, correre e difendere. Va così, perchè quando hai vinto hai vinto, che sia seconda divisione, serie A, Eurolega o NBA almeno per me non fa differenza. Per una sera tutti noi abbiamo vinto, siamo primi e lo saremo sempre ricordando questa serata. Alla fine seduto in spogliatoio ho ripensato all’sms di Alberto, ho ripensato alla scelta di cominciare questo viaggio a mani vuote. Mi ritrovo una sera di fine maggio, con un bagaglio di esperienza, emozioni, persone, vittorie, sconfitte, canestri, botte, rimbalzi, chiacchiere, scherzi. E questo bagaglio credo permetterà di prolungare il mio viaggio per un bel po’. Anzi credo onestamente di essere a debito con tutti li dentro per quello che loro hanno dato a me, per quello che mi hanno trasmesso, perchè hanno sempre dato tutto quello che avevano, senza trovare scuse, senza mollare un attimo. Una grande famiglia come poche altre volte ho avuto la fortuna di conoscere. A tutti quelli che hanno condiviso il campo con me, a tutti i dirigenti, a tutti i genitori che ci hanno supportato durato questo anno, sento di inchinarmi per quello che avete fatto, per quello che siete, perché un anno fa avevo deciso che col basket avevo finito. Mi avete preso per mano, ridato fiducia. Questo forse, vale ancora più di qualsiasi vittoria. No, non è ancora finita, visto che come in tutte le stagioni che finiscono in gloria, qualche ringraziamento devo pur farlo. E adesso ve li beccate: Prima di tutto, grazie, ma grazie grazie ad Alberto Morbin che mi ha trascinato dentro a questa avventura, inizialmente credendoci molto più di me. Ai due pazzi scatenati, che rispondono all’appellativo di Presidente e dirigente, Stefano Sparelli e Mourihno Sperandio, perché credo che il vostro lavoro oscuro per organizzare tutta la stagione sia stato gravoso e a volte anche noioso. Credo sinceramente che voi due, per come vivete lo sport, abbiate dato una visione precisa di quello che volete ottenere e del come lo volete ottenere. Mourihno icona fashion per il suo maglioncino rosa, il Presidente idolo dello spogliatoio perché su una mail scrive: “Oh raga, io ho prenotato la porchetta, 100kg!!!”. Credo potremmo sfamare tutte le famiglie di Quinto per giorni interi. E vederlo urlare a Montecchio “GHEMO VINTOOOO” col bandierone in mano è stato impagabile. Vi ringrazio per la splendida targa che mi avete regalato e che è in bella mostra in casa mia, vi ringrazio perché mi avete dato tutto senza mai chiedere nulla. A Coach Toni Vianello che dopo 6-7 milioni di: “Eccetera eccetera” ha fatto crescere questi ragazzi e li ha portati in finale contro ogni aspettativa. Ovviamente a Orso e a Rajo per quello che già ho detto prima, ma anche per molto altro, per il loro altruismo, per tutto il lavoro che fanno con i bambini, per l’idea che hanno di insegnare il basket. Perché se potessero mangerebbero anche mia zia dopo le partite (epica la frase di Orso che fa a Rajo: “Oh, scolta qua, piano per la serata, prima Enfant Prodige, dopo Old Wild West e dopo McDonalds”). Poi ancora, grazie Pietro (aka Wayne) perché in difesa è uno che ti molesta, uno che odia essere battuto dal suo avversario. A Matteo Ilaria perché in campo sei un leader, uno che si prende sempre le sue responsabilità e giochi con tutto quello che ha in corpo. A Ricky Zilio perché credo tu possa dare ancora di più in campo, perché sei un ragazzo semplice e onesto che dici sempre quello che pensi. Grazie a Steve perché mi ha fatto capire che c’è chi si veste peggio di me (clamoroso l’abbigliamento in gara1 contro Caldogno: scarpe color puffo, calzetto bianco con righe orizzontali anno ’70, braga corta sopra il ginocchio, canottiera da muratore, giacca e cappellino da baseball)e perché in campo non esiste qualcosa che gli fa paura. Grazie a Pas perché sei il miglior dj del circondario. Grazie a Toz perché hai organizzato il miglior Harlem Shake d’Italia. Grazie a Checco Matteazzi perché senza tanti giri di parole puoi diventare il nostro miglior giocatore offensivo. Grazie a tutti i ragazzi che hanno giocato meno, a Marco, a Moro, a Jack, grazie a chi mi sto dimenticando, perché ci siete sempre stati agli allenamenti, perché lo fate per migliorare, perché avete sempre partecipato col cuore e avete fatto crescere questa famiglia. Grazie a Matteo Pigato che nonostante i suoi 3601 impegni ha dato in contributo fondamentale in gara1 contro Caldogno e perché si prende cura delle giovani leve. Ti capitano queste cose nella vita, quelle cose dove nulla può andare storto, dove ti capitano 2 tiri liberi decisivi per vincere la finale, ovvero l’occasione che un giocatore aspetta per una vita. Ti ritrovi in mano quella palla, segni quei due liberi e all’improvviso realizzi che quel ragazzino dinoccolato che a 13 anni ha preso in mano il pallone da basket per sbaglio ce l’ha fatta. Ecco perché ho un debito verso ognuno di voi, perché il sogno di una vita l’ho realizzato con voi. Vi ammiro!
HONORABLE MENTIONS: per ultimo e non perché meno importante, ma proprio per esaltare una qualità umana che ritengo fondamentale per affrontare la vita: l’autoironia. Esegue EDOARDO SPERANDIO. Sms di un mercoledì mattina: “Oh raga, stasera Harlem Shake, portate tutto quello che avete”. Il nostro per non saper ne leggere ne scrivere si porta dietro l’armadio. Risultato? Muta da sub con pinne e boccaglio. Muta talmente stretta che il nostro rischia seriamente un collasso respiratorio. Uno SCIENZIATO. Al secondo posto, sempre il nostro. Test atletici a fine stagione, si prova l’elevazione da fermo. Mi avvicino a Edo: “Oh Edo, allora, quanti centimetri di elevazione”. Mi guarda serio: “Mit, grosso modo ci passa un foglio di carta”. Piegato in due dal ridere. Autoironia, consapevolezza dei propri mezzi e dei propri limiti, amore per il gioco smisurato. Ecco perché l’ho tenuto per ultimo, perché Edo rispecchia quelle caratteristiche umane che dovrebbero avere tutti.

venerdì 14 giugno 2013

Quale felicità possibile in una società basata sullo sfruttamento?

In questo post voglio condividere con voi una discussione avuta oggi in ufficio con i miei colleghi. Mi è arrivata una mail che pubblicizzava una conferenza sul veganismo etico, ecologia e natura. Il volantino presentava questa frase che condivido al 100% e che proverò a sviluppare in questo post: “L’attuale stile di vita è insostenibile da tutti i punti di vista: etico, ecologico ed economico. Le nostre scelte sono importanti per un mondo migliore, NON RESTIAMO A GUARDARE!” Provo a dire la mia, sapendo bene che la mia visione è parziale, legata alla mia singola esperienza e che soprattutto questo mio post non vuole essere una critica a nessuno ma solo un contributo per affrontare un cambiamento che presto o tardi ci toccherà affrontare seriamente, serenamente per non lasciare indietro nessuno. Sgombro il campo da alcune domande in modo che poi lo scritto vada via leggero. Non sono vegetariano, non sono vegano. Rispetto e capisco la scelta, perché credo sia un passo in avanti verso la consapevolezza personale e il rispetto verso ogni essere vivente. Condivido la scelta perché ritengo che mangiare bene ed educare al cibo valga una larga fetta della nostra felicità. Gli antichi parlavano di “mens sana in corpore sano” intuendo già centinaia di anni fa l’importanza di una dieta equilibrata. Aggiungo inoltre che non so se mangerei ancora carne se dovessi personalmente uccidere un pollo, un maiale o una mucca. Da piccolo pescavo il pesce con mio papà, mi divertivo un sacco ma vedere il pesce morire nel sacchetto di plastica mi lasciava sempre un po’ di tristezza. Mi metto io davanti alla fila a dirvi che su questo argomento ho sempre avuto paura a dire la mia e a cercare di essere più consapevole. Quindi tutto quello che leggete da qui in avanti è frutto anche di questi miei pensieri e di queste mie contraddizioni. Non sono perfetto, non l’ho mai pensato. Volevo solo fissare alcuni punti in modo che durante la lettura le vostre domande sul fatto che io sia o meno vegetariano e quale sia la mia posizione non vi facciano perdere il filo logico. Arriviamo al mio contributo per capire come poter rendere più etico, più ecologico ed economicamente sostenibile questo nostro stile di vita. È sufficiente mangiare meglio, prodursi il più possibile in casa? Non credo, o meglio è solo una parte della soluzione, è sicuramente importante mangiare bene e prodursi in casa le verdure, gli ortaggi, la frutta perché questa produzione locale aiuta sicuramente l’ambiente (meno camion, meno traffico, meno inquinamento, prodotti più sani, meno pesticidi ecc ecc). Leggendo il volantino, mi sono chiesto: “Michele, ma te come vivi e perché consumi?”. Apriti cielo, valanghe di ipotesi, se io potessi, se io facessi, se io avessi. Avete presente le rotelline di liquirizia, quelle che se le apri ti resta una specie di spago nero in mano? Ecco, i miei pensieri procedevano così, man mano che contestualizzavo il problema srotolavo la mia rotella mentale e alla fine mi sono ritrovato in mano il “groppo” finale dove a mio avviso risiede il problema: il lavoro, o meglio il nostro sistema produttivo e la nostra idea di ricchezza legata al lavoro. Scandalo!!! No, piano piano, non sono uno di quelli che non vogliono lavorare, che vogliono vivere in una amaca in una spiaggia esotica sorseggiando una noce di cocco (anche se, va bè…lasciamo perdere). Vediamo di andare con ordine. Mi sono fatto questa domanda: “Ma io cosa consumo? Quanto consumo? E perché consumo?” Analizzo qualche mio comportamento sociale. Automobile, perché ho comperato l’automobile? Perché diventavo grande e responsabile. Si forse, ma in parte è una balla. “Fatti la patente, così poi hai la macchina e puoi trovarti un lavoro”. Frase già sentita vero? Macchina=lavoro=macchina. Perché mi sono comprato la macchina? Perché dovevo andare al lavoro ed essere autonomo nel gestirmi la giornata. Ma una vettura inquina e costa. Inquina perché va a benzina, perché devi smaltire la batterie, l’olio e altre robette. Costa perché costa la benzina, i tagliandi, le revisioni, il cambio gomme. Il mio lavoro necessita esclusivamente di un telefono fisso, un pc collegato ad internet. Strumenti che già ho a casa, quindi perché no lavorare da casa eliminando così almeno per 5 giorni su 7 la macchina? Andare al lavoro in macchina costa una follia. In un mese avrei eliminato le emissioni di Co2 di almeno 2/3 (20 giorni su 30). Certo, è solo il mio esempio, vale per me, ma quanta altra gente potrebbe lavorare da casa perché i suoi strumenti sono solo un pc e un telefono? E inoltre non consumerei più l’elettricità dell’ufficio e forse forse potremmo anche fare a meno del capannone dove lavoro e rifarci un bel giardino o come cantavano i Pitura Freska: “na giungla de panoce, pomodori….e marjuana”. Ecco che “l’agenda digitale” tanto promessa da svariati governo e sbandierata diventa interessante e addirittura cruciale per i destini del nostro pianeta. Andiamo oltre? Via, senza l’obbligo di essere sempre in ufficio spenderemmo meno di vestiti e accessori, quindi meno camion che girano, meno negozi da costruire, meno merci da produrre dentro ad un capannone sempre illuminato e funzionante. E al posto dei negozi e capannoni? Panoce, pomodori. No dai, non solo questo, metteteci qualsiasi cosa vi venga in mente. Le fabbriche, i capannoni ci hanno abituato ad una visione monotona e triste dell’ambiente. Riabituiamoci a creare, a fantasticare, a immaginare. I vantaggi di lavorare da casa? Un ambiente famigliare più confortevole, forse una maggiore flessibilità e sicuramente un inquinamento atmosferico minore. Con questi pochi esempi vi voglio solo dire, che a mio avviso (ovviamente potete prendermi per pazzo, folle, estremista, aspetto eventuali vostri commenti così capisco se sto dicendo una marea di cazzate o se invece è un sentire comune) per come abbiamo impostato il lavoro e il nostro sistema produttivo, la prima “risorsa” ad essere sfruttata siamo noi, è l’uomo. L’uomo viene sfruttato per produrre, di conseguenza l’uomo sfrutta l’ambiente per avere le risorse per produrre. Da quando è stata introdotta la parola “risorse umane”, abbiamo rimosso l’idea che ci stanno sfruttando. “Capitale umano” suona meglio, perché una capitale lo tratti bene, lo risparmi, lo curi e lo proteggi, una risorsa la usi e la spremi come un limone. Quindi vado oltre, è veramente necessario lavorare così tanto (ovviamente per chi ancora ha un lavoro visto i dati dell’a disoccupazione in Italia)? Più vogliamo lavorare e più sfrutteremo le risorse naturali. Dobbiamo dirottare la nostra società dal produzione alla felicità. Dirottarla dalla parola “risorsa” alla parola “capitale”. Capitale inteso come capitale umano, capitale energetico (acqua, aria, idrocarburi), capitale sociale (la moneta ed altro). “Ma se lavoriamo meno, come facciamo a pagare le bollette, il mutuo, la scuola dei figli ecc ecc.” Qui viene il bello, istituire un reddito di cittadinanza per tutti. Scandalo!!! Pagare qualcuno per no fare nulla? Ma sei pazzo? Piano, piano, la cassa integrazione o la “disoccupazione” secondo voi che roba è? Sarebbe uno scandalo dare un reddito garantito ogni mese alle donne che accudiscono i figli? O anche ai papà, perché no? Sarebbe uno scandalo dare un reddito che va ad aggiungersi al salario da lavoro ad ogni italiano? Perché qui a mio avviso, o ci liberiamo dall’idea che per mangiare bisogna lavorare, altrimenti non si va tanto distante, altrimenti continueremo a sfruttare questo povero pianeta. Il lavoro deve essere fantasia, creatività e felicità e non ricatto: “se lavori mangi e sei qualcuno, se non lavori non hai diritti”. Dobbiamo necessariamente togliere importanza al denaro e ridarla all’uomo come centro della felicità. Un reddito di cittadinanza permetterebbe sicuramente di lavorare meno, di lavorare meglio(vi immaginate l’idea di arrivare sereni a fine mese senza assili sui conti da far tornare? O ancora di avere le risorse per potersi pagare le spese mediche, mente già oggi in Italia 9 milioni di persone rimandano le spese odontoiatriche) e di scegliersi un lavoro che rispecchi le nostre reali ispirazioni. Un reddito di cittadinanza permette anche di non lavorare, (eresia) per seguire le nostre passioni, siano essere l’orto, lo studio, una laurea, imparare a dipingere o a comporre poesie e musica. Ecco allora che una società basata sulla felicità e la consapevolezza, potrebbe liberarsi dal lavoro visto come strumento di consumo del territorio e del tempo. Per quanto incredibile o sconclusionato sia il mio ragionamento, credo sinceramente che questo sia il passaggio culturale che ci aspetterà nei prossimi anni. Il “più lavoro” come lo intendono i nostri dirigenti politici altrimenti suona come un “Arbeit macht frei” che rimbomba ancora nella storia dell’uomo. Abbiamo la tecnologia, la cultura e le tecniche economiche per cambiare questo modello economico e culturale. Vivere una vita felice non può e non deve essere ridotto al concetto di “quanto ho e quanto posso avere”, ma deve essere rivista in base al “cosa sono e cosa vorrei essere”. Per inciso, noi a casa abbiamo l’orto che ci da di tutto, abbiamo la vigna, le fragole, i peri e le mele. Facciamo il compostaggio domestico, facciamo la spesa da negozi biologici a km zero, ma ancora non è sufficiente. Quando la smetteremo di farci sfruttare allora saremo in grado di riscoprire il significato profondo della vita. Auguro a tutti noi, me compreso di vivere pienamente la vita, di girarvi indietro un giorno e assaporare i momenti passati, come quando dopo una corsa sotto il sole, vi fermate alla fontana per gustarvi un bel sorso di acqua fresca.