venerdì 25 giugno 2010

Metti una serata a teatro


Metti una serata a teatro (quello nuovo di Vicenza), metti il grande evento mediatico con la presenza dei grandi politici del momento, di tanti giornalisti e di tante persone che “contano” nella vita del nostro Paese.
Mettiamo pure che vai li con la buona volontà di sentire dal vivo certi discorsi e vedere certi personaggi, mettiamo anche temi importanti come il federalismo, il lavoro, la crisi. Mettiamo alla fine anche che vai li per provare a capirne di più, per provare a cercare una sintonia in tutto questo marasma.
Ecco in sintesi la serata di ieri sera (9 giugno), organizzata dall’associazione Trecentosessanta di Enrico Letta, parlamentare del Partito Democratico. Si parla di federalismo, di governo del nord, di crisi economica (poco e in malo modo), la serata scorre via anche piuttosto piacevolmente e con parecchi interventi di vari sindaci (Orsoni, Variati e Zanonato) e del sottosegretario all’economia dell’attuale governo.
Si analizza un po’ il voto delle ultime regionali che ha portato la Lega Nord a stravincere qui nella pianura padana, e specialmente in Veneto. Si cerca di capire quale posizione tenere, ovvero se si può provare ad allearsi o se invece sia il caso di improntare una lotta a tutto campo. Tutto apparentemente molto costruttivo. Ma, perché altrimenti non avrei scritto, ma anche tutto molto poco incisivo.
Ok che non è una serata in cui parlare di economia, crisi e lavoro, ma già all’inizio sento dire le solite cose un po’ scontate sul palco: il nord è una grande risorsa, il Veneto è una regione da prendere come esempio e tante bei confetti buttati in pasto alla platea. E li subito il mio pensiero va a tutte quelle volte che ho sentito dire in campagna elettorale (ma anche molto prima) che i veneti sono un gran popolo, che abbiamo un gran senso del lavoro, che siamo un modello per l’Italia. E li mi fermo e penso: “Grande popolo, modello d’Italia?” Ma fermi tutti, siamo la regione tra le più inquinate d’Europa (parlo dell’aria) ma al tempo stesso abbiamo la seconda o terza riserva del vecchio continente di acqua. L’ho già scritto sul post precedente e non mi stancherò di ripeterlo, come facciamo a definirci un grande popolo se roviniamo, sprechiamo e inquiniamo le nostre risorse naturali? Parte da qua la mia analisi della serata, non ho sentito nessuno sul palco che abbia parlato di economia sostenibile, di protezione dell’ambiente, di sicurezza, di acqua pubblica, o ancora di banche, di debito pubblico, di crisi economica. Si parlava di strategie politiche, di alleanze e di scenari futuri. Solo una voce fuori dal coro di Massimo Busi (se non vado errato presidente della provincia di Forli-Cesena) che ad un certo punto ha detto che quando alla mattina presto va al bar si trova davanti gente che parla di lavoro e di crisi, di come arrivare a fine mese, e di certo non parla di strategie politiche o di modifica della carta costituzionale. Applausi e andiamo avanti.
Siamo in un situazione capovolta, dove essendo nella più grave crisi globale mai vista, la classe dirigente dovrebbe già aver per le mani delle idee, delle vie di uscita, delle alternative a questo modello fondato sul capitalismo distruttivo e basato sui debiti. E invece si interrogano su cosa sia meglio fare, dove sia meglio arrivare e con chi sia meglio andare. E intanto la Grecia affonda, la Spagna ha 5 milioni di disoccupati, noi altrettanti, la Germania vara una manovra da 80 miliardi di euro, il Giappone mette l’allarme sui sul debito e in giro per l’Europa e negli Stati uniti i debiti sovrani stanno facendo scricchiolare tutta la baracca.
Dopo ieri sera, sono ancora più convinto che questa classe politica e questo governo stia solo vivacchiando e ci stia nascondendo la verità in attesa che questa crisi in qualche modo si risolva da sola (ma si risolverà?), andando intanto a chiedere il sangue al loro popolo che tanto dicono di voler proteggere dai grandi speculatori esterni. A noi lacrime e sangue, riforma delle pensioni (ma perché la fanno se l’INPS anche quest’anno ha chiuso con un avanzo positivo di gestione), agli altri (le banche) grandi salvataggi sotto il ricatto che se falliscono loro andiamo giù tutti. Mi potreste dire che questa manovra sull’aumento dell’età pensionabile è stata decisa dall’Europa, bene, allora che ci sta a fare il nostro parlamento se ormai deve solo recepire direttive europee e farcele ingoiare? È un problema di sovranità, dove i cittadini, i più deboli, sono lasciati ai margini e truffati, si truffati, da quelli stessi che ci hanno chiesto il voto in cambio di tante belle promesse.
Allora i punti su cui lavorare secondo me sono questi:
- affrontiamo il problema del debito pubblico seriamente (sovranità monetaria ecc ecc)
- difesa vera del lavoro e dell’industria italiana (il solo assistenzialismo per quanto possa essere giusto, è un modello che genera ulteriore menefreghismo)
- mettiamo in discussione un modello dove l’obiettivo è una crescita continua e infinita dove le risorse sono finite e non rinnovabili
- proponiamo una banca pubblica che sostenga i giovani e le piccole/medie imprese
- no al nucleare e no alla Tav
- risorse e idee per combattere la disoccupazione giovanile arrivata ormai al 30%

Ci sono decine di altri argomenti, ed è fondamentale affrontarli senza ideologie e schieramenti, odio sentirmi dire che certe idee sono di destra o di sinistra, non mi importa, questa cosa del giochino destra-sinistra è un trucco per i polli. Lo stiamo percependo tutti che saranno tempi duri dove verranno fatte scelte importanti e drastiche, tanto vale essere in prima fila e farci sentire, far passare una idea, lottare non solo per noi ma per gli altri, per la nostra gente, per la nostra comunità. Ieri sera non ho sentito questo, ho sentito il vuoto su tanti temi, su questioni pressanti e non più derogabili. Il mio non è un auspicio per chi leggerà questo articolo, il mio è un grido perché la gente cominci ad uscire da un circolo vizioso che ci ha portati alla più grave crisi economica di tutti i tempi. Ricordatevi che per i teorici del neo liberismo e del capitalismo spinto, questa crisi non è un effetto indesiderato, ma una congiuntura, una fase necessaria, dove alcuni si stanno comunque arricchendo e molto e dove invece la gente come me fa una fatica bestia a tenere la testa fuori dall’acqua.
Chiudo con un piccolo P.S: ieri sera l’evento era previsto iniziasse alle 20.00, ma dopo un’ora di attesa una voce dall’interfono ha comunicato: “La serata comincerà tra 5 minuti”. Due considerazioni rapide:
- o dite direttamente che la serata inizia alle 21.15 così ce la prendiamo comoda senza fare le corse come dei pazzi per arrivare puntuali
- oppure se dite che alle 20.00 si comincia io mi aspetto che al massimo alle 20.15 si inizi realmente, perché a me che lavoro come dipendente se arrivo con un’ora e un quarto di ritardo senza avvisare nessuno, il capo il giorno dopo mi fa: “Michele, vieni qua che ne parliamo”. Giusto per non farci passare per cretini noi, e per superficiali e menefreghisti voi. È un consiglio.

martedì 15 giugno 2010

Il sapore della vittoria



Nuovo post, nuovo argomento. In questo blog va così, non do continuità agli argomenti, ma salto di palo in frasca, perché penso che in questo modo il tutto diventi più piacevole e catturi di più l’attenzione. Scrivo di basket oggi, scrivo di sport e di emozioni legate a questo sport. Scrivo, o almeno ci provo di cosa significhi per me vincere, di quanto ci sto male a perdere e di cosa rappresenta per me un campo da basket.

E devo per forza partire da distante per raccontare questa ultima stagione con l’Aurora76, conclusa con la splendida vittoria in finale e la conquista della Serie D.

Vincere quest’anno mi ha dato un enorme senso di liberazione, mi ha fatto capire che quelli che dicono che se ci credi ci puoi riuscire, bè hanno ragione, e il bello è che non sai come e quando ci riuscirai, ma ci riuscirai, magari proprio quando meno te lo aspetti.

È da quando ho cominciato a giocare a pallacanestro (fino alla seconda media giocavo a calcio) che mi sono sempre sentito dire, dai miei professori e da alcuni allenatori che non ce l’avrei fatta, che ero o troppo piccolo o troppo magro. Mi sono portato dietro frasi del tipo: “ah, vai fare pallacanestro, bè è un buon modo per fare un po’ di movimento” quando invece per me questo sport rappresentava tutto . Ad anni di distanza queste frasi riaffiorano, tornano a galla e finalmente le puoi prendere e buttare dietro le spalle. Non succede come nei film, che ti fanno vedere l’azione rallentata e i ricordi che riaffiorano, ma succede tutto dopo, succede dopo la festa, succede il giorno dopo la vittoria quando ti trovi da solo con i tuoi pensieri e guardi indietro, e pensi a quanta gente ha cercato di dissuaderti dal fare quello che ti piaceva (per gelosia, invidia o ignoranza), ma anche a quanta gente ti abbia sostenuto. Vincere è stato come abbattere questo muro di parole negative, è stato come cancellare un fantasma che mi portavo sulle spalle.

In una carriera sportiva, qualsiasi sia il livello, impari principalmente due cose: la prima è che vanno sfruttate tutte le occasioni, e che non deve esistere l’idea del: “bè, faremo l’anno prossimo”. La seconda è che, come dice un detto indiano (indiani d’America): “non giudicare nessuno finché non hai camminato nelle sue scarpe”.

La vittoria che abbiamo raggiunto come gruppo quest’anno non è nata quest’anno ma è stato un percorso lungo 4 anni, fatto di vittorie e sconfitte, di uscite dolorose dai playoff dopo aver sognato grandi traguardi. Questa vittoria è nata da un percorso anche personale di ognuno nell’imparare dai propri errori, nell’avere pazienza e nel sapere stare insieme nonostante tutto, nonostante i piccoli battibecchi o incomprensioni. Ho provato con le parole e forse anche con l’esempio a far passare il concetto del “qui ed ora”, ovvero di non pensare al futuro, di giocare ogni partita come se fosse l’ultima, ricordando a tutti che non capita molto spesso di poter vincere un campionato.

Ecco perché, almeno per me, questa vittoria rappresenta oltre alla dimostrazione che come singolo ce l’ho fatta, principalmente una vittoria di gruppo. Guardavo le facce dei miei compagni appena finita gara2 e vedere i sorrisi, le lacrime, la gioia è stata una delle sensazioni più forti che abbia mai vissuto, perché questi ragazzi hanno condiviso quattro anni di aspettative e di ferite difficilmente rimarginate. E scrutare nei loro occhi quella luce che sembrava dire: “Cazzo ce l’ho fatta” non ha veramente eguali.

Il merito del gruppo è stato quello di rimanere uniti e determinati anche dopo le tremende sconfitte nei playoff, dove ognuno poteva decidere di fare la propria strada senza tanti rammarichi, e invece qualcosa ha tenuto assieme la squadra, e penso che quel qualcosa sia stato il pensiero di vincere per il proprio paese e con i propri amici.

E poi per mettere tutto sul piatto, non devo dimenticare la fortuna (perché di fortuna si tratta) di aver trovato delle persone altruiste, ragazzi che anche se non giocavano il venerdì erano i primi ad arrivare in palestra e gli ultimi ad andarsene. Gente capace di fare festa per una vittoria e sdrammatizzare una sconfitta e pronta a sostenere qualcuno in campo e anche fuori. E da questa ho imparato che per vincere oltre che avere il talento da mettere in campo, serve un gruppo affiatato, unito, pronto a scherzare e subito dopo pronto a scendere in campo a fare la “guerra”.

Per chiudere, quando si mette in piedi un progetto per vincere qualcosa, i fattori da valutare sono praticamente infiniti, perché non si tratta semplicemente di scendere in campo una volta alla settimana e mettere il pallone nel cesto, ma la pallacanestro come ogni altro sport è molto ma molto di più.

Ho imparato molto da questo gruppo che vedete nella foto, ho imparato la pazienza e la volontà di rialzarsi, ho compreso che le diversità non vanno annullate ma semplicemente incanalate nello stesso obiettivo, ho imparato a vivere ogni allenamento e ogni partita come un miglioramento, ho imparato anche che c’è molto di più importante del basket e questo forse è l’insegnamento più grande di tutta questa storia.

Alla fine questo post mi serve per ringraziare tutti, ma veramente tutti quelli che hanno creduto in questa vittoria, visto che magari non sono riuscito a dirlo faccia a faccia questo è il mio modo per dirvi Grazie!!!

lunedì 31 maggio 2010

Pensieri a raffica....


È da un bel pezzo che non scrivo su questo blog, da novembre dell’anno scorso circa, è passato un po’ di tempo e sono successe un sacco di cose, piccole o grandi, belle o brutte non importa, sono successe e ora appartengono alla mia storia, alla mia vita.

Torno a scrivere in un attimo di pace, in una giornata soleggiata ma appena rinfrescata da un temporale quasi tropicale. Scrivo dall’ufficio in un momento di pausa verso fine serata (sono le 18.10), e ho molte cose che girano per la testa, molti pensieri che tengono occupati i miei giorni, e mettermi davanti a questo foglio bianco mi permette di non pensare, di calmare il mio respiro.

Non ho più scritto da 7 mesi a questa parte principalmente per un senso di sconforto generale, che non definirei negatività, ma semplicemente realtà. Perché più cerchi la verità più capisci che questo mondo, questa società ci sta ingannando, ci sta conducendo dove solo alcuni vogliono, ci sta portando allo stremo delle forze e ci sta togliendo pian piano le nostre libertà.

Guardo la tv, leggo i giornali e vedo le menzogne, la superficialità di un schiera sempre crescente di giornalisti, sempre pronti a riportare le parole del potente di turno, invece che analizzarle e spiegarle a noi. Vedo un sistema sociale che ci fa vivere una falsa democrazia, in una falsa idea di libertà personale.

In questi sette mesi di “silenzio” ho semplicemente voluto ascoltare, leggere altre fonti (i blog sono diventati la mia fonte principale per i piccoli e grandi temi), pensare al di fuori del chi ha detto cosa, e prendere il fatto per quello che era.

E al di là di quello che posso aver o meno capito (c’è un proverbio che dice: “appena hai imparato una cosa, dimenticala”) ho scoperto una cosa nelle persone che conosco e frequento, ovvero che pochissime sono pronte al cambiamento, pochissime si pongono come problema il futuro prossimo, pochissime sanno cosa significa questa crisi che stiamo vivendo.

E le cifre (che personalmente non mi piacciono ma a volte spiegano bene il concetto) lo confermano, l’80% degli italiani si informa solo dalla televisione, e la televisione è sostanzialmente un sogno dove la pubblicità non vede un prodotto, ma una idea, una utopia e dove l’informazione è completamente asservita alla politica e alle grandi lobby (bancarie, farmaceutiche e militari).

A chi interessa la crisi dell’acqua se gli scaffali dei supermercati sono strapieni di confezioni di acqua in bottiglia, chi se ne frega della crisi alimentare nel mondo se abbiamo cibo ovunque, chi se ne frega se il biodiesel è fatto con soia e altri prodotti che potrebbero sfamare milioni di persone? Tra i giovani a chi interessa la crisi del lavoro fino a che sono mamma e papà a pagare (non per tutti ovviamente, ci sono un sacco di ragazzi che fanno i salti mortali).

Sto mettendo li un sacco di argomenti, ma non per confusione, ma perché ognuno è intrecciato con un altro, ognuno riguarda il nostro futuro, e ripeto non sono pessimista ma semplicemente vedo e percepisco questo modello socio-economico come sbagliato, percepisco il governo e la politica come una grande truffa, come un sistema autoreferenziato dove se sei dentro vivi in prima classe, ma se sei fuori ti tocca viaggiare in piedi e senza aria condizionata.

Mio papà l’altro giorno mi ha girato una mail che parlava della auto elettriche e ad acqua già esistenti da almeno 10, comperate ad esempio da diverse contee californiane e poi sparite dal mercato in maniera misteriosa (ma non troppo). Allora dov’è il cambiamento, dov’è il progresso tanto sbandierato dai nostri partititi e dalla nostra classe dirigente se dopo 10 anni ci ritroviamo con macchine enormi che inquinano e consumano come dei camion? E noi ancora a farci prendere in giro con le “domeniche a piedi” con tanta gente che gira le strade libere da macchine ma sempre inquinate. Per farvi un esempio molto recente, alle ultime elezioni regionali, tutti (e dico tutti) i candidati ci dicevano che il Veneto è una grandissima regione, immersa nel benessere e nella ricchezza (materiale), che è il modello economico da seguire per il futuro e che si deve trasformare la nostra regione in una area metropolitana. Ma quello che molti non dicono è che la nostra regione è tra le zone d’Europa più importanti per giacimenti di acqua, ma siamo pure una delle zone più inquinate di tutto il vecchio continente. Qualcuno si è fatto questa domanda e ha provato a cercare una soluzione? Dove sta la nostra grandezza se stiamo distruggendo il nostro ambiente?

Ogni volta, e specialmente in questo periodo di grave crisi economica, si sente parlare di cambiamento, di uscita dalla crisi, di risanamento, di futuro, ma tutte queste parole indicano un cambiamento in meglio per chi il potere già ce l’ha e un cambiamento in peggio per i più deboli e le masse.Malcom X diceva correttamente che quando rivendichiamo i nostri diritti e le nostre libertà lo facciamo sotto la protezione della legge e della Carta Costituzionale. Ed è così anche per noi in Italia. La Costituzione ci garantisce un lavoro equo, ci garantisce che tutti gli uomini sono uguali, ci garantisce una giustizia equa, ci garantisce la sovranità popolare. Ma la realtà è ben diversa e lo sappiamo tutti, il lavoro è sempre meno e sempre più precario e sotto pagato, le persone hanno un trattamento diverso se sono di colore o se hanno un credo diverso da quello cristiano, la giustizia non è equa ne veloce e la sovranità popolare ce la siamo fatta rubare da sotto il naso. Cosa ci blocca nel volere vedere questi nostri diritti rispettati? Cosa ci blocca nel sentirci tutti uniti per smascherare questi imbrogli? Sono convinto e non sono ovviamente il primo a dirlo che il cambiamento debba partire dal basso, debba pervadere le persone. Un cambiamento che parte dalla punta della piramide necessariamente escludere milioni e milioni di persone, come già è in questo momento in tutto il mondo.

Questa nostra economia, questa nostra società è come un treno in corsa lanciato verso un muro, e la scelta è tra buttarsi dal treno in corsa sperando di farci il meno male possibile, oppure rimanere sul treno destinato a schiantarsi a fine corsa.

Non ho verità, e non ho la mappa per la terra promessa, ma solo idee, solo possibilità, ma conoscere i nostri tempi e comprenderli senza farne un discorso di destra o sinistra è fondamentale per affrontare il futuro in maniera diversa, abbandonando questo sistema iniquo e per nulla democratico.

venerdì 28 maggio 2010

Quanto attuale è Malcom X

Dopo 7 mesi di silenzio riapro il blog, semplicemente citando un discorso fatto più di 40 anni fa da Malcom X, qualsiasi commento è ovviamente ben accetto.


La scheda o il fucile

«[…] No, io non sono americano. Sono uno dei ventidue milioni di uomini dalla pelle nera che sono vittime dell’americanismo, uno dei ventidue milioni di vittime della democrazia che non è altro che un’ipocrisia travestita. Non vengo qui a parlarvi da americano, da patriota, non sono uno che saluta la bandiera o che la tira fuori ad ogni occasione, no! Io vi parlo da vittima del sistema americano; vedo l’America con gli occhi della vittima e non riesco a vedere nessun sogno americano. Quello che vedo è un incubo americano. […] la scelta è oggi tra la scheda e il fucile. La scheda o il fucile, vi ripeto. Se avete paura di servirvi di questa espressione, ebbene tornatevene in campagna, nel campo di cotone, oppure in qualche vicolo buio dei bassifondi. […] è proprio il governo, il governo degli Stati Uniti, il responsabile dell’oppressione, dello sfruttamento e della degradazione del popolo nero in questo paese. […] c’è un nuovo modo di affrontare i problemi che si sta facendo strada, un nuovo modo di pensare e una nuova strategia. Questo mese saranno le bottiglie Molotov, il prossimo le bombe a mano e il prossimo ancora qualche altra cosa. Ci saranno o le schede o i fucili, o la libertà o la morte. L’unica differenza, però, tra questa e l’altra morte è che sarà reciproca. […] normalmente non ho a che fare con gente importante, ma solo con persone comuni. Credo che si possano mettere insieme tante di queste persone comuni e spazzar via tanti di quei personaggi importanti. Quelli non hanno nulla da perdere e nulla da guadagnare e te lo dicono subito che per ballare il tango bisogna essere in due e quando si muove l’uno anche l’altro è costretto a muoversi. […] È giusto cercare di assicurarsi diritti civili se essi significano uguaglianza di opportunità perché noi non cerchiamo di fare altro che riscuotere gli interessi dei nostri investimenti. I nostri padri e le nostre madri hanno investito in questo paese il loro sudore e il loro sangue […] Questo è il nostro investimento, il nostro contributo, il nostro sangue perché non soltanto noi abbiamo dato loro gratuitamente la nostra fatica, ma anche il nostro sangue. Tutte le volte che l’uomo bianco chiamava il paese alla guerra, noi siamo stati i primi a indossare l’uniforme e a morire su tutti i campi di battaglia. Il nostro sacrificio è stato più grande di quelli compiuti da chi oggi gode di una posizione di privilegio in America. Il nostro contributo è stato più grande ma in cambio abbiamo ricevuto meno di tutti. […] Cercate di capire che quando volete ottenere ciò che vi appartiene, chiunque vi privi di tale diritto è un criminale. Quando volete ottenere ciò che è vostro, siete nel pieno diritto di esigerlo e chiunque cerca di privarvene infrange la legge ed è un criminale. Questo principio fu indicato chiaramente nella sentenza della Corte Suprema che dichiarava illegale la segregazione. Ciò vuol dire che si tratta di un comportamento contrario alla legge, che il segregazionista viola la legge e quindi è un criminale. Non c’è altro modo per definirlo e quando voi dimostrate contro la segregazione, siete dalla parte della legge e la Corte Suprema è con voi.

Ora, chi è che si oppone a voi quando volete far applicare la legge? La polizia, con i suoi cani e i suoi manganelli. Quando voi dimostrate contro la segregazione, sia che si tratti delle scuole, delle zone residenziali o di qualsiasi altra cosa, avete la legge dalla vostra parte e coloro che vi si oppongono non la rappresentano più, ma anzi la violano e quindi non sono più suoi rappresentanti. […] Se non sarete capaci di agire con fermezza, i vostri figli cresceranno «vergognandosi» di voi: se non assumete un atteggiamento deciso. Con ciò non voglio dire che dovete essere violenti, ma al tempo stesso che non dovete mai essere non violenti a meno che non incontriate chi si comporta pacificamente. Io sono non violento con quelli che lo sono con me, ma quando qualcuno usa la violenza nei miei confronti, allora è come se impazzissi e non sono più responsabile delle mie azioni. […] Quando sapete di non infrangere la legge, di battervi per i vostri diritti legali e morali, secondo giustizia, allora sappiate morire per quello in cui credete. Ma non morite soli, fate che la vostra morte sia reciproca. Questo è quello che s’intende per uguaglianza. Occhio per occhio, dente per dente. […] Il mondo deve sapere che le mani di questa società grondano sangue. Il mondo deve sapere quanto è grande la sua ipocrisia. La scelta sia dunque tra la scheda e il fucile. L’America sappia dunque che l’unica alternativa è quella fra la scheda e il fucile.»