martedì 15 giugno 2010

Il sapore della vittoria



Nuovo post, nuovo argomento. In questo blog va così, non do continuità agli argomenti, ma salto di palo in frasca, perché penso che in questo modo il tutto diventi più piacevole e catturi di più l’attenzione. Scrivo di basket oggi, scrivo di sport e di emozioni legate a questo sport. Scrivo, o almeno ci provo di cosa significhi per me vincere, di quanto ci sto male a perdere e di cosa rappresenta per me un campo da basket.

E devo per forza partire da distante per raccontare questa ultima stagione con l’Aurora76, conclusa con la splendida vittoria in finale e la conquista della Serie D.

Vincere quest’anno mi ha dato un enorme senso di liberazione, mi ha fatto capire che quelli che dicono che se ci credi ci puoi riuscire, bè hanno ragione, e il bello è che non sai come e quando ci riuscirai, ma ci riuscirai, magari proprio quando meno te lo aspetti.

È da quando ho cominciato a giocare a pallacanestro (fino alla seconda media giocavo a calcio) che mi sono sempre sentito dire, dai miei professori e da alcuni allenatori che non ce l’avrei fatta, che ero o troppo piccolo o troppo magro. Mi sono portato dietro frasi del tipo: “ah, vai fare pallacanestro, bè è un buon modo per fare un po’ di movimento” quando invece per me questo sport rappresentava tutto . Ad anni di distanza queste frasi riaffiorano, tornano a galla e finalmente le puoi prendere e buttare dietro le spalle. Non succede come nei film, che ti fanno vedere l’azione rallentata e i ricordi che riaffiorano, ma succede tutto dopo, succede dopo la festa, succede il giorno dopo la vittoria quando ti trovi da solo con i tuoi pensieri e guardi indietro, e pensi a quanta gente ha cercato di dissuaderti dal fare quello che ti piaceva (per gelosia, invidia o ignoranza), ma anche a quanta gente ti abbia sostenuto. Vincere è stato come abbattere questo muro di parole negative, è stato come cancellare un fantasma che mi portavo sulle spalle.

In una carriera sportiva, qualsiasi sia il livello, impari principalmente due cose: la prima è che vanno sfruttate tutte le occasioni, e che non deve esistere l’idea del: “bè, faremo l’anno prossimo”. La seconda è che, come dice un detto indiano (indiani d’America): “non giudicare nessuno finché non hai camminato nelle sue scarpe”.

La vittoria che abbiamo raggiunto come gruppo quest’anno non è nata quest’anno ma è stato un percorso lungo 4 anni, fatto di vittorie e sconfitte, di uscite dolorose dai playoff dopo aver sognato grandi traguardi. Questa vittoria è nata da un percorso anche personale di ognuno nell’imparare dai propri errori, nell’avere pazienza e nel sapere stare insieme nonostante tutto, nonostante i piccoli battibecchi o incomprensioni. Ho provato con le parole e forse anche con l’esempio a far passare il concetto del “qui ed ora”, ovvero di non pensare al futuro, di giocare ogni partita come se fosse l’ultima, ricordando a tutti che non capita molto spesso di poter vincere un campionato.

Ecco perché, almeno per me, questa vittoria rappresenta oltre alla dimostrazione che come singolo ce l’ho fatta, principalmente una vittoria di gruppo. Guardavo le facce dei miei compagni appena finita gara2 e vedere i sorrisi, le lacrime, la gioia è stata una delle sensazioni più forti che abbia mai vissuto, perché questi ragazzi hanno condiviso quattro anni di aspettative e di ferite difficilmente rimarginate. E scrutare nei loro occhi quella luce che sembrava dire: “Cazzo ce l’ho fatta” non ha veramente eguali.

Il merito del gruppo è stato quello di rimanere uniti e determinati anche dopo le tremende sconfitte nei playoff, dove ognuno poteva decidere di fare la propria strada senza tanti rammarichi, e invece qualcosa ha tenuto assieme la squadra, e penso che quel qualcosa sia stato il pensiero di vincere per il proprio paese e con i propri amici.

E poi per mettere tutto sul piatto, non devo dimenticare la fortuna (perché di fortuna si tratta) di aver trovato delle persone altruiste, ragazzi che anche se non giocavano il venerdì erano i primi ad arrivare in palestra e gli ultimi ad andarsene. Gente capace di fare festa per una vittoria e sdrammatizzare una sconfitta e pronta a sostenere qualcuno in campo e anche fuori. E da questa ho imparato che per vincere oltre che avere il talento da mettere in campo, serve un gruppo affiatato, unito, pronto a scherzare e subito dopo pronto a scendere in campo a fare la “guerra”.

Per chiudere, quando si mette in piedi un progetto per vincere qualcosa, i fattori da valutare sono praticamente infiniti, perché non si tratta semplicemente di scendere in campo una volta alla settimana e mettere il pallone nel cesto, ma la pallacanestro come ogni altro sport è molto ma molto di più.

Ho imparato molto da questo gruppo che vedete nella foto, ho imparato la pazienza e la volontà di rialzarsi, ho compreso che le diversità non vanno annullate ma semplicemente incanalate nello stesso obiettivo, ho imparato a vivere ogni allenamento e ogni partita come un miglioramento, ho imparato anche che c’è molto di più importante del basket e questo forse è l’insegnamento più grande di tutta questa storia.

Alla fine questo post mi serve per ringraziare tutti, ma veramente tutti quelli che hanno creduto in questa vittoria, visto che magari non sono riuscito a dirlo faccia a faccia questo è il mio modo per dirvi Grazie!!!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

a volte nella vita bisgona essere "sordi" per raggiungere i propri obiettivi. Non ascolatre le chiacchere e aprire le orecchie del cuore che filtrano invece le parole di amici e compgani che, come nel caso che descrivi, hanno dato non chiacchere, ma fatti e passione.
Complimenti per l'articolo.
Alessandra

Anonimo ha detto...

UN CAPITANO, C'è SOLO UN CAPITANO!!!!!!!!!! Grazie a te mit, e l'anno prox c aspetta un altro anno mervallous!!!!!!!!!!!!