lunedì 12 settembre 2011

E se fosse il silenzio il nostro più grande alleato?


Lo dice Morpheus sul film Matrix quando da a Neo la pillola blu o rossa, che noi siamo dentro ad una prigione senza sbarre, senza barriere, addirittura dorata per tanti di noi dove siamo tenuti rinchiusi non da qualcun altro ma dalla nostra stessa mente.
Questa volta non scrivo di cose viste, lette, imparate o sentite. Devo parlare di percezioni, di idee che mi sono creato, di vita quotidiana fatta di tanti segnali che noi non cogliamo per pigrizia, stanchezza, noia o poco tempo. Quante volte torniamo a casa dal lavoro, mangiamo, facciamo la doccia, guardiamo un po’ di tv, facciamo due chiacchiere con la morosa/moroso, moglie/marito o genitori e poi è già praticamente ora di “riposare” per essere di nuovo produttivi il giorno dopo? Troppe volte probabilmente, talmente tante che facciamo fatica a distinguere i giorni. Ci fermiamo e vediamo che è scappato via il tempo, prima giorni, poi settimane, mesi e poi gli anni.
Ne parlavo sempre con Matteo nella famosa serata passata assieme a rivivere il suo viaggio in
Spagna e ci rendevamo conto come tutto quello che questa società, i nostri genitori, parenti o amici ci chiedono è di trovare un bel lavoretto, per pagarci la macchina, poi la casa e via di questo passo. I nostri nonni hanno avuto questa educazione, che hanno poi tramandato ai nostri genitori che a loro volta l’hanno trasmessa a noi. Ma noi anche per colpa della generazione dei nostri genitori (io credo sia il motivo principale) ci troviamo bloccati in un paradosso: vogliono farci diventare “bravi cittadini” con il lavoro sicuro, ben pagato ecc, ma dall’altra parte la nostra politica, il nostro sistema economico ci vuole più precari, più flessibilizzati, meno pagati e meno sicuri di avere un futuro. Ancora non realizziamo quanto grande sia questo dramma, ma ogni giorno sento sempre più genitori preoccupati per il futuro dei figli e sempre più ragazzi alla ricerca di qualcosa che non arriva.
Questo è il paradosso dove siamo bloccati, a cui si aggiunge l’idea imperante che è fondamentale andare all’università per aver un bel lavoro, ben retribuito e poco faticoso, poi però la stessa società si lamenta perché i giovani non vogliono più fare i lavori cosiddetti umili. Ma come, ci avete bombardato il cervello con l’idea dello studio, di diventare dottori e poi ci criticate se cerchiamo un lavoro corrispondente alle nostre aspettative o sogni? Bè troppo facile criticare col senno di poi!
Ecco perché sento che la nostra generazione, diciamo quelli nati dagli anni ‘80 in poi hanno un compiti enorme, da far tremare i polsi. Abbiamo l’occasione, o forse addirittura l’obbligo di porre fine o comunque ridimensionare pesantemente quello che per 50 anni hanno “venduto” ai nostri genitori, ovvero lavorare come schiavi, guadagnare, farsi la casa, accumulare ricchezza e potere sociale. Stiamo vedendo e capendo che quel modello li non è sostenibile, non è equo, crea delle disuguaglianze enormi, crea conflitti e ci spoglia dei nostri diritti.
Ma questa è solo la punta dell’iceberg, quello che in realtà trova risposta solo parziale alle mie domande è capire come mai la cosiddetta cultura “occidentale” è stata così brutalmente standardizzata e globalizzata. Non parlo solo dal punto di vista economico, ma proprio dei comportamenti, di come esprimiamo le nostre emozioni, di come ci comportiamo e di come reagiamo.
Ho provato a darmi una risposta senza esserne completamente convinto o meglio, questa risposta contiene delle falle.
Vedete, leggevo oggi i dati della disoccupazione in Europa, 20% della popolazione giovanile sotto i 30 anni e circa il 10% spalmato su tutte le età. Vuol dire circa 30 milioni di persone senza un lavoro. Negli Stati Uniti abbiamo circa lo stesso risultato con l’aggravante di 40 milioni di persone che mangiano solo perché hanno i ticket dal governo altrimenti morirebbero di fame nel giro di poche settimane. Cosa ci è successo? Cosa è successo alla cultura romana? Dove è sparita l’idea della rivoluzione francese, dove è sparita la cultura delle tribù indiane degli Stati Uniti, che fine ha fatto la cultura millenaria cinese? È ovvio che non sono sparite, continuano a tramandarsi nelle generazioni ma in maniera a mio avviso sempre più esigua, sempre meno persone vivono quelle culture e quelle tradizioni, a favore di qualcos’altro. E cosa è questo qualcos’altro? Io ci provo, senza volermi dare arie da sociologo, storico o credendomi uno psicologo.
Lo faccio semplicemente tramite la mia esperienza di vita, breve ancora, incompleta e viziata da come sono stato cresciuto, dal contesto, dai pregiudizi.
Quando ci dicono che i mercati e l’economia hanno preso il sopravvento sulla politica, io credo si voglia spiegare quel fenomeno per cui quello che noi mangiamo, beviamo, consumiamo e utilizziamo (specialmente nelle tecnologia) sia stato globalizzato e standardizzato. Questo sviluppo vertiginoso di modelli standardizzati e preimpostati ci ha di fatto impoverito, magari anche economicamente (anzi di sicuro) ma principalmente come uomini pensanti. Questo sistema di sviluppo-tecnologia-frenesia-profitto-crescita continua, ha generato, un (io lo chiamo così) “rumore di sottofondo” che tiene quasi completamente occupata la nostra mente. Basta pensarci un attimo, ci svegliamo la mattina e accendiamo tv, radio o pc, in macchina ascoltiamo la radio o siamo al telefono, in ufficio o in fabbrica c’è sempre rumore, telefoni, colleghi, radio, stampanti e compagnia bella, poi magari andiamo in palestra o a fare allenamento e anche li rumore, confusione, frenesia. Si torna a casa e ancora tv, giornali, chiacchiere (queste sono comunque positive), computer e tutto il corredo completo. Questo continuo brusio tiene la mente occupata e non ci permette di guardare più a fondo ciò che siamo, cosa vogliamo. Ecco perché prima parlavo di occasione per la nostra generazione e per quelle che verranno, abbiamo la possibilità vera di riscoprirci e di riscattarci, il che vuol dire un pacco di robe, vuol dire mangiare meglio, conoscere i propri limiti fisici, capire il nostro carattere e come ci rapportiamo agli altri, curare i rapporti interpersonali, dedicare molto più tempo alle arti e a quello che ci fa piacere fare. L’accumulo cieco di ricchezza, di potere e di privilegi abbiamo già visto che non funziona, lo sappiamo eppure è una specie di droga, perché è la nostra mente, il nostro Io ad essere totalmente immerso in quel brusio che non si spegne praticamente mai. Dovremmo spegnere quel rumore fastidioso, e riscoprire il silenzio non come solitudine ma come raccoglimento, come momento di profondo contatto con noi stessi. Non so cosa ne pensiate, se siate d’accordo o se avete altre ipotesi e soluzioni. Su questo mi piacerebbe tantissimo sapere cosa ne pensate anche voi.
Attendo commenti, e se il blog vi può sembrare inadatto, anche via mail: cognomichele@virgilio.it

3 commenti:

Alessandra ha detto...

Detto zen:
Che strana creatura l’essere umano:
brancola nel buio con espressione intelligente!
* (Kodo Sawaki Roshi)

Anonimo ha detto...

fa piacere essere la tua musa ispiratrice...a parte gli scherzi sottoscrivo tutto quello che dici. Secondo me è una catena senza fine: fin da bambino vai a scuola dove ti insegnano che devi essere il migliore in tutto per avere una vita dignitosa, sei sempre in competizione con il tuo vicino di banco ma la scuola non ti insegna a scoprire cosa ti rende felice, non ti insegna a conoscere te stesso. Poi si va avanti nella vita sempre con questo pensiero di diffidenza verso tutti, devi avere un lavoro che ti permetta di guadagnare il più possibile senza guardare ad altro. Faccio una semplice riflessione: studi economici rivelano che uno stipendio esorbitante non ti rende più felice di uno stipendio che ti permetta di vivere in maniera normale, quindi la felicità va ricercata in qualcosa di diverso che questo sistema non concede. Se riesco a vivere con 10 perchè devo avere 50 togliendo di fatto la possibilità di vivere ad altre 4 persone? Cerchiamo di fare quello che ci rende felici senza guardare a quello che la società ci impone e cerchiamo di relazionarci con chi ci sta vicino perchè questo disagio è di molti ma nessuno lo esprime. Ultima cosa: ieri sera verso mezzanotte vado in terrazzo in cerca di aria fresca e per guardare la luna piena, esco e vedo macchine passare in continuazione; penso a come sarebbe bello se ci fosse un silenzio irreale interrotto solo dal canto dei grilli, tutto a un tratto sento in lontananza un grillo, poi un altro e un altro ancora. Sono rimasto lì 10 min circa...ah le macchine non passavano più!
Matteo

Anonimo ha detto...

Non volevo, ma mi sento "costretto ad intervenire", altrimenti questa tua deriva qualunquistica rischia di diventare una valanga....
Piccola premessa a difesa della generazione dei tuoi padri ('50 per capirci): Mi sono sposato che ero senza casa. senza lavoro e dovevo fare il militare. Non ho mai insegnato ai miei figli cio' che sostieni e spero che col tempo, soprattutto dalla coerenza dei miei comportamenti, lo possano comprendere.
Detto questo credo che i vari problemi che hai sollevato vadano affrontati razionalmente, perche' se confondi e mescoli gli aspetti emotivi (stati celebrali) con i sentimenti (soggettivi) con la realta' (oggettiva) e' quasi certo che concluderai con l'idea che che non c'e' speranza e che il compito del cambiamento e della "purificazione" dell'umanita' e' troppo immane.
Quindi, per farla breve, devi fare come quando hai una grave malattia (spero mai :)) e cioe' distingui le emozioni e la parte soggettiva dalla parte reale e la realta' affrontala scentificamente, come fanno i medici con le malattie: studiano un casino di anni, si specializzano sulla malattia, utilizzano le medicine giuste e con quelle combattono e (spesso) guariscono il malato.
La chiudo qui e spero che avremo occasione di approfondire.
PS: Io l'altra sera sono uscito di casa e non c'erano auto che passavano, ma ogni giorno faccio 50 Km per andare a lavorare :)
Con affetto
Il JEKO