sabato 17 ottobre 2009

Giornata mondiale contro la povertà


Oggi, 17 ottobre 2009, è la giornata mondiale contro la povertà. Definire la povertà, l’indigenza è sempre molto complicato, perché ogni singola persona vive e percepisce questo stato in maniera diversa. Esiste una povertà economica, una povertà sociale e una culturale, che a mio avviso sono tre aspetti strettamente legati tra di loro.

Partendo dalla povertà economica, che volenti o nolenti, sta toccando tutti, o in prima persona o tramite persone vicine a noi, c’è un aspetto molto grave e complesso che sta cambiando il nostro modo di interpretare e vivere il lavoro. Per decenni, almeno qui in Veneto, l’idea è stata quella di lavorare più degli altri, senza preoccuparsi di molto altro. Il lavoro dava, e da tutt’ora, dignità, speranza, progetti e un futuro migliore, ma ora con questa crisi e la precarizzazione, il lavoro sta diventando quasi uno strumento di ricatto. Se una persona esce dal mondo del lavoro, nel nostro sistema è un uomo inesistente, praticamente morto, e ogni giorno sentiamo e subiamo notizie di aziende che chiudono, che si trasferiscono all’estero e che lasciano a piedi impiegati e operai che all’età di 40 o 50 anni fanno seriamente fatica a reinventarsi un ruolo diverso. Senza un lavoro continuativo, non hai accesso ai servizi, una banca non ti fa credito, e anche la vita perde di qualità. Il nostro modello economico vuole avere sempre più precariato, ma senza adeguare lo stato sociale e il rapporto con gli enti privati (banche o altri servizi minimi).

La povertà sociale e culturale sono poi le due facce della stessa medaglia, perché una società più povera è anche culturalmente più bassa. La perdita di lavoro, la precarizzazione, i debiti contratti, portano a poco a poco a fenomeni di chiusura da parte della gente, pressati da un modello che invece ci impone di consumare e spendere (la politica come unico obiettivo della crisi ha quello di rilanciare i consumi), ma è ovvio che spendere vuol dire prima guadagnare e lavorare, che di questi tempi è molto difficile. Moltissime statistiche ufficiali vi diranno che negli ultimi anni gli stipendi dei manager sono schizzati alle stelle, e invece il lavoro dipendente ha visto una perdita progressiva del potere di acquisto. Un capitalismo che invece di allargare il benessere, lo restringe a fasce di popolazione sempre più esigue, e crea dei meccanismi perfidi che rendono l’acqua un bene commerciale e che ci dice che il biodiesel è una fonte energetica rinnovabile, andando a brucare tonnellate di mais e soia che potrebbero essere utilizzate per sfamare milioni di persone. Ogni volta che viene perso un posto di lavoro, significa che quella persona non sarà più interessata alla vita sociale, perché completamente assorbita nella ricerca di un nuovo impiego, e quindi le lotte si condurranno in proprio, cercando appoggio tra le persone di cui ci fidiamo, quando invece mettere in comune i problemi è il modo migliore per cambiare e uscire da situazioni di degrado.

Una povertà sociale e culturale porta poi a movimenti e modelli xenofobi e razzisti, come la società ci sta mostrando negli ultimi periodi, e una povertà sociale porta pure i nostri politici a non essere un grado di formulare e votare una legge contro l’omofobia. Nasce e si alimenta la paura del diverso, dell’extracomunitario che ci ruba il lavoro, o che ci ruba il posto in ospedale.

Oggi ho letto il Giornale di Vicenza, e ho letto che la Fao sta parlando di emergenza alimentare e di povertà, perché in tutti e cinque i continenti, i poveri e chi perde il lavoro sono in aumento. Si parla di 1 miliardo e 200 milioni di persone che vivono in estrema povertà. Fa riflettere questo dato, perché visto quello che succede in giro per il mondo con questa voglia di esportare la democrazia, il progresso e il consumo, le cifre ci stanno dicendo che avviene esattamente in contrario. Succede che la gente è più povera, più insicura. La povertà quindi, è intrinseca al nostro sistema economico-sociale, che vogliamo esportare e far diventare globalizzato. La paura (mia) è che più spingiamo sull’acceleratore del progresso e del consumo, e più dovremo abituarci a combattere la povertà, l’indigenza e la manza di mezzi e idee per trovare una alternativa

E la cosa peggiore di tutte è che appunto non sembra esistere una via diversa, una nuova strada da seguire, ma dobbiamo ricordarci che la speranza è sempre l’ultima a morire. Nella giornata della povertà quindi non vorrei solo vedere e sentire i soliti discorsi sulla fame in Africa e in Sud America, ma vorrei qualcuno che facesse una analisi schietta e sincera sul nostro modello socio-economico, chiedendosi se questo è il migliore al mondo o se ne esistono altri per permettere a 1 miliardo e duecento milioni di persone di vivere e diventare persone migliori.

Chiudo con un proverbio africano che dice: L’ABBONDANZA DIVIDE IL POPOLO MOLTO PIU’ DELLE PRIVAZIONI.

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