giovedì 15 marzo 2012

My block (il mio quartiere.....)



Come si combatte una crisi economica? Come si combatte la distruzione creata dalla globalizzazione? Come si combattono disoccupazione, distruzione dei diritti, della sovranità? Come si cerca di restare agganciati alla realtà di questi tempi? Certamente con ricette alternative che leggete in questo blog, certamente informandoci e divulgando quello che impariamo. Tutto giusto, ma per quel che mi riguarda, combatto tutto questo con le mie radici, ricordandomi dove sono nato, le persone che mi hanno cresciuto e che hanno dato una mano ai miei genitori, ricordandomi dell’esempio di mio fratello, ricordandomi la terra che ho calpestato, ricordando alla fine cosa è stato importante nella mia vita.
Proprio stasera (mercoledì 14 marzo 2012) passavo per Camisano, avevo un po’ di tempo prima dell’allenamento, dai Michele, torna a vedere la tua prima casa, quel luogo che ti ha visto nascere e crescere. La macchina va quasi da sola, entro nel mio quartiere, sembra un po’ invecchiato, qualche cancellata arrugginita, i marciapiedi con qualche buca qua e la, il parco con le erbacce alte. Via P.Lioy numero 3/9, li in curva, parcheggio, suono a casa Luison. Esce Adriano che li per li non mi riconosce, tiro un urlo: “Adriano sooo mmiiii”. Esce in canottiera d’ordinanza (per inciso sta in canottiera anche in gennaio, ma questi sono dettagli). Gli stringo la mano, mani tozze ma tremendamente forti che ogni volta sembra mi voglia rompere un dito, mi apre la porta, ci guardiamo reciprocamente e non so perché ma è come se fosse pure casa mia. È quella sensazione che basta uno sguardo per capirsi, che non servono parole. Ogni volta gli dico che mi fermo 10 minuti, giusto il tempo di sentire come va, e poi i 10 minuti diventano un’ora, diventano un litro di succo di frutta e qualcosa da mangiare. Sempre. Quando mi parla lo ascolterei ore, come quella volta che mi ha raccontato di aver preso su i morti del Vajont, oppure quando stasera mi ha raccontato della vita da “schiavo” fatta presso le famiglie di potenti di 50 anni fa. O ancora quando gli ricordo di quella volta che venne lui a prendermi alla fermata del pulmino, stringendomi la mano talmente forte che non la sentivo più, malo guardavo ed ero protetto come se Adriano fosse un misto tra Superman e Hulk. C’è sempre un esempio, un aneddoto che mi riporta indietro, a respirare gli anni ’80 e ’90. Quel quartiere rappresenta ancora tanto per me, mi ha dato tanto, amicizie vere che resistono tutt’ora, un quartiere che mi faceva sentire sicuro, protetto e sempre a casa anche se ero sempre per strada. Un quartiere che mi ha fatto crescere prima del tempo per poter seguire l’esempio dei ragazzi più grandi di me. Un quartiere “spietato” però da un altro punto di vista perché quando si giocava in strada fregava niente a nessuno se eri il più piccolo, a calcio erano sfide all’ultimo goal, a nascondino all’ultima corsa e le sfide in bicicletta finivano molto spesso in ginocchia sbucciate e pianti disperati. Ma il giorno dopo eri li, era una questione di orgoglio, mollare era da codardi. Il mio quartiere l’ho visto cambiare, ho visto arrivare gente e sparirne altra. Ma quel quartiere pulsava, trasmetteva gioia e tristezza assieme, ti accoglieva sempre. C’era tutto quello che potevi desiderare, i campi dietro casa dove correre fino a perdere le gambe, i fossi dove d’inverno andavi a pattinare sul ghiaccio con le scarpe da ginnastica. C’era Edo con il canestro in cortile, e gli americani nella villetta di fronte che erano una gabbia di matti, col papà di questi che si metteva a suonare il piano alle 4 di mattina (oh, mai sentito uno migliore di lui), che mangiavano hamburger che McDonald sembra sano. O che si picchiavano in strada tirandosi di quei pugni che io pensavo: “Vabbè, non devono faro poi così male”. C’erano le partite a calcetto in strada con il portoncino usato come porta. E c’erano gli aneddoti che si tramandano tutt’ora, come quello di “Carnera” che tiro un calcio ad un pallone da basket talmente forte che lo fece volare per 200 metri (Diego correggimi se sbaglio) spaccando la porta di una maniglia dei nostri vicini di casa. C’erano le partite infinite a ping pong, c’erano le serate a testa in su con mio papà che mi spiegava lo spazio infinito. Sto ancora parlando con Adriano, solo le 8 passate, lo fermo: “Adriano, vara che go da ndare via!!”. Chiedo come sta la Romilda al piano di sopra, un ultimo saluto e mi avvio. Prima di salire in macchina guardo il giardino dove si giocava a pallone e dove adesso c’è una palma di 4-5 metri che 15 anni fa era alta 50 cm. Mi guardo attorno ed è come se il quartiere mi volesse dire qualcosa, come se mi volesse trattenere o dare una parte di se. Salgo in macchina, faccio un ultimo respiro profondo per assaporare l’aria come se li avesse un profumo diverso. È come per un pesce rientrare in acqua dopo un lungo tempo nella terra ferma, è qualcosa di indescrivibile. Il mio quartiere è invecchiato, come me, e adesso non ho più la foga di percorrerlo in lungo e in largo, di “consumarlo”. Vorrei stare li, seduto magari sul prato o sul marciapiede e farmi raccontare la sua storia. Ma il tempo è tiranno, mi giro verso il mio ex appartamento, c’è una luce accesa in cucina, e la mente mi riporta a quell’ultimo giorno, quando mio papà staccò gli ultimi quadri e chiuse la porta per sempre. Li per li non realizzavo il momento, ora darei qualsiasi cosa per riaprire quella porta e rivedere la vita che c’era dentro 15-20 anni fa. L’ho visto chiudersi alle mie spalle freddo, scuro e con le malte cadute sul pavimento. Ritorno al presente, apro la macchina e attraverso le strade del quartiere per raggiungere il palazzetto. Esco piano, voglio godermi tutti gli ultimi secondi. Arrivo allo stop e mi rivedo 20 anni fa mentre correvo in bici o quando col pallone andavo al parco. Sono sensazioni che non si cancelleranno mai. Le rendo manifeste perché voglio che anche chi legge provi a ricordarsi quel posto dove si sentiva in pace con tutto. Le rendo manifeste perché queste sono le mie radici e ne vado profondamente fiero. Sono tutto quello che ho, sono la mia valigia piena di esperienze. E niente me la porterà via. Non la crisi, non l’apatia che viviamo, non la perdita di valori. Il mio quartiere resta di fatto una parte di me, probabilmente la migliore parte di me.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

"ricordarsi quel posto dove si sentiva in pace con tutto. Le rendo manifeste perché queste sono le mie radici e ne vado profondamente fiero.", già solo con questo direi che possiamo considerarci fortunati, molto fortunati. E dico VERAMENTE fortunati!
Davide

Diego ha detto...

Ahahah, che forte! Mi fa piacere leggere il tuo post, perché mi fa pensare che fino a poco tempo fa eravamo ancora un po' "selvadeghi", perché c'erano i campi, c'era il fiume, c'era il cancelletto che faceva da porta nelle interminabili partite in strada (il marciapiede era il difensore migliore visto che i tiri rasoterra venivano inevitabilmente intercettati). Era il tempo in cui si andava a scuola in bici (adesso credo sia un fenomeno raro), in cui si ravanava nei fossi in cerca di tritoni e ditischi, ma anche di interminabili momenti comuni in cui persone come me e te, pur avendo 10 anni di differenza, trovavano punti di contatto che hanno fatto da base alla nostra amicizia che dura fino ad oggi. Carnera non ha fatto 200m di tiro, ma credo che i 200 km/h li abbia raggiunti visto che ha scardinato la maniglia di un portoncino blindato ... bella Mit!

Giancarlo ha detto...

Grandissimo!!!..quel difensore battezzato "mai mosso irremovibile"...e l'infinità di palloni bucati nell'appuntita ringhiera degli americani..purtruppo per la ovvie situazione della vite ci si vede sempre meno, ma son sicuro che questo tuo blog ci ha portati tutti a 25anni fa in quartiere, ci ha portati nel garage cogno con quel tavolo da ping pong più largo e meno lungo, ci ha portati nei nostri tavoli a giocare a monopoli prima dell'uscita estiva (rigorosamente alle 4 perchè prima a gente xe in letto)..c'era RISPETTO una volta!!!..ci ha portati in cucina dalla Romilda ad imparare scala40, era le che ci diceva che carta scartare che fatalità era la stessa che servica a lei per chiudere!!!...ci portati nei nostri nascondigli fatti con lenzuoli sotto le terrazze...ci ha portato sicuramente in tanti altri posti...ma ci ha portato per un attimo almeno ancora tutti insieme a 25anni fa sopra quel marciapiede maimossoirremovibile a divedere dividere la squadre per l'ennesima partita di pallone...e non importava chi vinceva o chi perdeva tanto noi eravamo nel nostro block!!!...e poi c'era sempre la rivincita!!!grazie miki
ciao

Diego ha detto...

Bravo Gianca! Maimossoirremovibile ....

ale ha detto...

quanti ricordi questo post!!! alla fine mi è venuta la lacrima.. la "cannonata" di Carnera penso rimarrà nei nostri ricordi per sempre.. una cosa memorabile.. Gianca, quante partite abbiamo fatto 1 contro 1 o 2 contro 2 con il cancelletto come porta? infinite.. e che male cascare sull'asfalto.. ma non te podevi moeare!!.. ma ve o ricordeo "CRUVA" o Luca bastiema?.. e le corse sul campo de ambrosini fin che iera drio imbaeare? chi ghe metteva manco tempo a fare andata e ritorno saltando tutte le file de fen?.. e andare al campetto ogni giorno, con partie a fogo ogni volta? ... si viveva in una piccola comunità, dove personalmente mi sentivo al sicuro. non c'era indifferenza, tutti si davano una mano!! basta altrimenti mi sale il magone.. ringrazio miki per avermi riportato in via lioy ed avermi fatto emozionare!!
saluti a Gianca e Diego!!