sabato 7 luglio 2012

Perchè continuare a elemosinare la vita?

Il ragazzo entra nella corte della casa, appoggia la bicicletta sotto l’albero, si avvicina alla porta a testa bassa, quasi timoroso, allunga le mani come quando noi le allunghiamo per ricevere la comunione in chiesa. Non alza lo sguardo, lo tiene nascosto sotto il cappello rosso. Il padrone di casa gli allunga qualche spicciolo, il ragazzo ringrazia a bassa voce: “Grazie, grazie”. Riprende la bici e riparte, mi vede e mi saluta con un: “Ciao” che suona come un: “Ehi, esisto anch’io su questo mondo”. Questa volta alza la testa, mia guarda in faccia, un sorriso e poi via lungo la strada. Io ho la carriola in mano, mi fermo, la appoggio e sento che dentro di me c’è rabbia. Perché questa scena appena descritta mi ha aperto gli occhi. No, non è la classica indignazione sul concetto di elemosina, del perché farla o farla, dell’idea dominante che: “Sti tosi qua che riva dall’Africa podaria sercarse un lavoro come tutti”. No, non voglio essere così scontato e vergognosamente falso. Per quello che ho imparato, visto, studiato e sentito quella scena rispecchia ognuno di noi. La crisi incombe, si allarga, le aziende chiudono, la gente si ammazza, i figli non hanno lavoro, la società civile è scossa nelle fondamenta, ognuno si ingegna come può, c’è chi vorrebbe abbandonare tutto, c’è che gioca al lotto perché: “Se mi va bene sono a posto per vita!” Ma gli altri mi chiedo, gli altri che ci stanno attorno? È bello vivere nel castello quando attorno la gente muore di colera? Quel ragazzo africano siamo tutti noi, che elemosiniamo a testa bassa un lavoro, una opportunità, degli spiccioli di vita, saltando di casa in casa sperando ci vada bene e non ci impallinino col fucile o ci insultino. Siamo quel ragazzo africano che attende momenti di speranza da una mano benevola, ma che non crea nulla e non distrugge nulla, vegeta in attesa della prossima mano. Siamo noi, che ci lamentiamo per una sanità che fa schifo ma poi abbiamo l’amico che ci fa passare avanti o che ci fa il favore, noi che ci lamentiamo della burocrazia ma se conosciamo qualcuno dentro al “sistema” ci sentiamo forti, potenti. Siamo li ad elemosinare piaceri, favori, a scambiarci la vita sottobanco. Belle parole la dignità, la coerenza, vero? Però poi salta fuori la frase da vigliacchi: “Eh ma dobbiam vivere, dobbiam arrivare a fine mese!”. Badate bene, io non giudico, sono impastoiato pure io in tutto questo, il mio non è un grido contro l’ipocrisia, il mio è un grido di aiuto. Si parla tanto delle giovani generazioni, della speranza per il futuro. Ebbene eccola la speranza per il futuro, arrivare a dire e fare la stessa cosa. Altrimenti calpesteremo orme già presenti nel terreno, seguiremo una scia invece di inventarcene una di nuova. Altrimenti saremo sempre come quel ragazzo che elemosina a testa bassa (attenzione, non sto dicendo che quel ragazzo è un buono a nulla, parlo solo di atteggiamento). Mio papà pochi giorni fa in macchina mi diceva: “Michele, chi è al comando il 70% di quello che dice poi non lo applica. Io ci sono stato al comando e mi rendo conto che quello che dicevo poi quasi mai lo applicavo nella mia vita e nei miei insegnamenti verso di voi!” Lasciando da parte per un attimo il coraggio di una frase del genere di un padre ad un figlio, credo che mio papà abbia colto il problema. Chi comanda, ovvero chi fa elemosina, è ipocrita verso quello che vede perché non da una vera mano a cambiare la situazione di chi quell’elemosina la sta chiedendo. Come uomini, come appartenenti ad una comunità dovremmo imporci standard molto più alti di umanità, di comprensione, di benessere per tutti. Altrimenti giustificheremo sempre tutto.

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