venerdì 1 febbraio 2013

A volte, devi dimenticare quello che vuoi, per ricordarti quello che meriti

Credo che mia mamma mi odi. Ogni volta che vado dai miei genitori a mangiare finisce sempre con una discussione lunghissima e faticosa sulla crisi, sulla moneta, sull’anomalia dell’euro, sui poteri forti ecc. ecc. Ma l’ultima la discussione è partita diversamente, perché papà Romeo mi ha preso in contropiede con una domanda che non mi aspettavo: “Michele, io ho capito, l’euro che ha distrutto l’economia italiana, la finanza, la moneta non sovrana, la nostra politica succube dell’economia e tutto il resto, il silenzio di tutti, ma come facciamo a dirlo alla gente? Come facciamo a dirgli queste cose senza passare per pazzi visionari, comunisti, fascisti, nazionalisti? Tradotto, come facciamo a dire alle persone che la madre, o il padre dei problemi è il sistema economico? No no, non ho ricette e tanto meno mi sento nella posizione di avere delle verità. Scriverò alcune cose che mi sembrano di buon senso, che mi sembrano utili, che mi sembrano concrete. Ma nulla di più. Partiamo dalla prima e dalla più importante. Credo tutti siamo stati dal dottore per qualche linea di febbre. Il dottore ti visita, e alla fine ti dice che hai una bella influenza. Ma alla tua domanda: “Ok dottore, come la curiamo?”, lui risponde: “Eh cario mio, è proprio una bella influenza eh”, “Si dottore, ho capito, ma come la curiamo”, “Eh sa, proprio una brutta influenza, quest’anno poi è particolarmente aggressiva”. Voi in cerca di soluzioni e il dottore che vi continua a dire che va male. Questo è l’esempio perfetto di quello che stiamo vivendo. C’è la crisi, c’è il debbbbbito pubblico, c’è la corruzzzzzione, c’è la Casta, c’è la disoccupazione, c’è il fallimento, c’è la perdita di potere di acquisto. Ci sono un sacco di robe brutte, ormai lo sa anche il bambino delle elementari. Si, ma le soluzioni? Eh ma Michele, come fai a parlare di soluzioni? C’è la crisi, bisogna fare i sacrifici, tirare la cinghia. Quando passerà la crisi, penseremo alle soluzioni. Il costante senso di urgenza non ci permette di guardare a lungo termine, ci fa solo sperare che domani vada bene, che le cose che abbiamo ottenuto non ci spariscano da sotto gli occhi Eccovi confezionato la fine del pensiero, c’è la crisi non è tempo per pensare. E invece è la crisi che ci impone di cambiare, di pensare, di rivedere, di studiare, di essere coraggiosi verso noi stessi. È la crisi che racchiude l’opportunità. La crisi crea opportunità, l’ho appena scritto. Ma come facciamo a cogliere l’opportunità? Cosa ci permette di cogliere l’attimo per dare una speranza alla gente? Pensiero mio personale tradotto in tre fasi: studio, coraggio, applicazione. Prima fase: lo studio. A cosa serve? Ad avere gli strumenti, ad avere le basi per elaborare buone teorie e buone pratiche economiche, sociali, culturali e politiche. Chi in questo momento comanda in Italia, in Europa, al Fondo Monetario, alla Banca Mondiale ecce cc, sono laureati a pieni voti nelle migliori università del mondo. Sono avvocati, economisti, giuristi ecc ecc. Hanno una preparazione capillare, sono determinati e convinti su quello che fanno. L’inizio dell’alternativa nasce dallo studio, nasce dal superarli nel loro campo, nasce sapendo che faremo le cose nel miglior modo possibile. Credete veramente che i burocrati europei a Bruxelles siano preoccupati dichi sciopera, urla, incendia cassonetti o distrugge una vetrina di una banca? Io credo di no, perché la preoccupazione di quei signori è che nessuno arrivi a maneggiare l’economia, a capirne i dettagli, le leggi e i trattati. Essere in parlamento e votare leggi europee complesse richiede una preparazione specifica. Studiare per poter dare risposte, alternative, per poter dire di no. Lo studio ci serve per capire che il problema energetico, il problema del lavoro, della distruzione dell’ambiente, della scuola, della sanità sono tutti problemi contenuti in un problema più grande che è il nostro sistema economico. Quando la smetteremo di trattare tutto e tutti come merci allora potremo risolvere qualcosa, prima no! Ecco il primo passo, lo dico soprattutto per i più giovani. Studiare. Seconda fase: il coraggio. Va insegnato, va coltivato, va incentivato a tutti i livelli. Non è sufficiente essere preparatissimi, con 5 lauree se poi quello che sappiamo non lo mettiamo a disposizione degli altri. Il coraggio di essere se stessi, il coraggio di pensare con la propria testa, il coraggio di mettere in discussione le proprie convinzioni, il coraggio di guardare i dati per quello che sono. Il coraggio di infrangere la legge, se quella legge è ingiusta. Rosa Parks è un esempio di coraggio, nonostante non avesse mai studiato, nonostante non avesse una laurea. Se si sente che una cosa è sbagliata lo si dice o lo si scrive. Il coraggio insegnato e mostrato prima di tutto. La questione è cruciale, perché serve il coraggio? Perché attraverso il coraggio possiamo ottenere la libertà e la felicità. Per cosa siamo venuti al mondo? Per pagare le rate di una vita ad interessi zero? Per farci vendere o comperare come merce? Per essere terrorizzati dal fisco, dal redditometro, da Equitalia? O siamo venuti al mondo per essere felici, per avere amici, per scoprire l’amore, la gioia? Il coraggio ci serve per smascherare un sistema fatto da persone, semplici persone che hanno un ruolo e non un potere. La Fornero non ha potere, ha un ruolo che è quello di rendere legge i consigli che arrivano dall’europa, così vale per Monti, per Grilli, vale per i partiti politici che fanno da cinghia di trasmissione, vale per i sindacati. Chi allora ha il vero potere? Chi decide veramente della nostra vita, dei nostri stipendi, del nostro futuro, del nostro ambiente? Il coraggio infine ci serve per rivendicare l’unicità e la bellezza della nostra vita. Terza fase: l’applicazione. Una volta che abbiamo gli strumenti teorici, le alternative sociali e politiche e una volta smascherato il finto potere dei signori citati sopra, ci serve l’applicazione. L’applicazione per darci regole che tutelino tutti, che non permettano l’esistenza di 8 milioni di italiani sotto la soglia di povertà, che non permettano la disoccupazione. Regole che ci liberino dalla burocrazia e dalle scadenze. Regole per porre fine a strumenti finanziari spericolati, depredatori e parassiti. Regole che liberino la creatività di ogni persona. Nell’applicazione è sottointeso un aspetto fondamentale. Ovvero abbandonare i nostri personalismi, i nostri idoli, i nostri partiti, le nostre piccole parrocchie (intese come gruppi) per arrivare ad avere un obiettivo comune. È quello che hanno fatto più o meno 70 anni fa i signori che ora comandando la nostra vita. Non è successo per caso, è successo perché hanno studiato, hanno avuto coraggio e si sono applicati per uno scopo univoco. L’articolo 1 di una nuova Costituzione dovrebbe suonare così: “l’Italia è una Repubblica che tutela la felicità di ogni persona”. P.S: Queste sono le discussioni che si affrontano in casa Cogno all’ora di pranzo, con mia mamma che mi guarda con quei suoi occhi bellissimi e mi fa: “Ciò ma vialtri do non gavì mia gnente de mejo da fare che parlare de tutte ste sfighe?” e che ogni volta che la saluto dopo dei pranzi da mille e una notte mi guarda e mi fa: “gheto magnà abastansa, che non te vai via co fame”. È per questo che adoro mia mamma, lei deve aver scoperto il segreto della felicità perché ogni volta che la vedo dimostra serenità e mi accoglie con un sorriso. Lascia me e mio papà a “scannarci” per ore sulla politica.

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