lunedì 15 aprile 2013

Eh ma ai miei tempi.... (cosa penso della tecnologia data in mano ai bambini)

Venerdì 12 aprile 2013. Oggi si mangia con i colleghi di lavoro, 4 chiacchiere per rilassarsi. È la prima giornata di sole e caldo e all’improvviso sembra andare tutto meglio. “Una insalatona, grazie”. La cameriera mi fa un bel sorriso, annuisco e ricambio. Sgranocchio qualche grissino nell’attesa del pranzo che arriva quasi subito e noto che la terrina è ricolma di qualsiasi roba, ci guardo e dentro e penso che non arriverò a vederne la fine. C’è di tutto, in quantità incredibile. Però è buona, porca vacca se è buona, va giù che è un piacere, l’insalata è fresca e la mozzarella è gustosa. Sono indaffarato tra chiacchiere e cibo, ma noto una coppia che entra con due bimbi piccoli e una loro amica (almeno credo). Si fermano al bancone, mentre i bimbi (diciamo 4-5) si siedono al tavolo. Li guardo e noto che sono emozionati, come lo sarebbe qualsiasi bambino quando vede posti nuovi e facce nuove, fanno casino, giocano, gridano. Bello, sono bambini, hanno vivacità ed energie da vendere. Mi tornano in mente ricordi di quando io ero piccino, facevo casino, facevamo casino in casa io e mio fratello (lotte spietate sul divano o da camera a camera) ma quando arrivano papà e mamma la festa finiva, via i giochi, fine delle urla. Erano una autorità riconosciuta. Ti guardavano dall’alto al basso e capivi al volo che era finito lo svago. Con la mente e lo sguardo torno a guardare i due bambini pensando che o mamma o papà si siederanno con loro e gli diranno di abbassare il tono e stare più composti perché c’è altra gente che sta mangiando. Ma siamo nel 2013, all’epoca dell’interattività e della connettività. Arriva si la mamma che gli fa: “prendete qua il tablet così almeno state buoni”. Cortocircuito. O meglio, i miei pensieri vanno in cortocircuito, perché istintivamente, a pelle senza nemmeno pensarci la mia mente capisce che c’è qualcosa che non va. Qualcosa di nuovo che non riesco a codificare e mi ci vuole un po’ prima di staccare gli occhi dalla scena. Ora, non sono qui a scrive: “eh ma ai miei tempi…” perché ho 29 anni e la tecnologia la uso pure io, e non sono qui nemmeno a scrivere: “La tecnologia è un danno”, perché come dice giustamente il mio amico Diego: “ non è la tecnologia ad essere sbagliata, ma l’uso che se ne fa”. No, non faccio la morale e non mi ritengo migliore o peggiore di nessuno. Non sono nemmeno uno psicologo quindi il mio è un semplice sguardo ad una scena che mi ha suscitato delle emozioni e voglio provare a descriverla. Cosa ha creato il cortocircuito? Forse scrivendo non riuscirò bene a rendere l’idea, ma nello stesso istante che i bambini hanno preso in mano il tablet è calato il silenzio, non parlavano più, erano seduti e zitti con gli occhi sgranati sul monitor. Ho sempre considerato le grida e le urla dei bambini una bella cosa, un fenomeno di distinzione dalla società adulta, un segno tangibile del loro modo di esprimersi. Bambini silenziosi ne ho sentiti pochi, forse nessuno, eppure un gingillo luminoso ha avuto la capacità di zittire in un secondo due bambini che fino all’attimo prima gridavano, correvano e giocavano. Il silenzio mi ha colpito, perché non era naturale e non lo è nei bambini. In pratica una droga, se consegnato nelle mani di bambini indifesi. Questa è stata la sensazione più forte, più immediata, il silenzio, o meglio il nulla dove prima c’erano due bimbi vivaci ora vedevo due sguardi vuoti risucchiati da uno schermo luminoso. Altro? Si, perché è vero che io arrivo da un’altra epoca, tecnologicamente parlando, ma certe cose non me le tolgo più di dosso. È pur vero che ho visto solo uno spezzone di vita, un attimo direi quindi la mia è una visione ridotta. Ma questa visione ridotta mi ha fatto tornare in mente come era a quell’età giocare. E mi ricordo un sacco di situazioni, la BMX bianca, le pistole fatte coi lego, il fienile a casa del nonno di Matteo e il go-kart fatto coi pezzi della Vespa a casa di Alberto. Alla mia età i video giochi erano rari, c’era il Sega Mega Drive, ma quello si usava solo d’inverno perché la primavera e l’estate offrivano molto di meglio. Offrivano di meglio per la nostra fantasia, era un mondo di mostri, streghe, magie, labirinti, nemici, cattivi, missioni per scovare il tesoro segreto. E ogni volta era diverso, era sempre tutto nuovo perché la nostra immaginazione creava sempre opportunità diverse. E allora immagino questi due bimbi davanti a questo tablet che utilizzano applicazioni e giochi tutti uguali, uguali identici a quelli dei loro compagni di classe e dei loro amici. Mi provo ad immaginare i discorsi, ma non mi viene nulla di originale. Si diranno quante casette saranno riusciti a costruire, o quanti nemici avranno ucciso. Ma il tutto sarà ricondotto su binari standard perché lo schermo proietterà le stesse identiche immagini. La mia personale idea è che questa standardizzazione sia negativa e limitante. Mi fa paura, da piccolino passavo intere serate in terrazza con papà che mi leggeva i libri dei pianeti e delle stelle. Li la fantasia era veramente illimitata, tanto quanto lo spazio stesso. Due cose mi hanno letteralmente spaventato, il silenzio e la standardizzazione. È questo il nostro futuro? Uomini e donne silenziosi che vivono emozioni standard? Guardavo questi due bambini e vedevo due target pubblicitari, due giovani vite utilizzate per capire quali sono i gusti commerciali, le preferenze di centinaia di migliaia di giovani, perché a questo servono le applicazioni dei tablet. Servono a capire i gusti del pubblico e se capisci i gusti del pubblico sei anche in grado di generare emozioni positive o negative. Il problema non è la tecnologia, è la nostra cultura e la nostra capacità di riconoscere la realtà che sta venendo meno. Qualche anno fa un cliente al telefono mi disse tutto emozionato: “Sai Michele, ho passato il weekend di Pasqua a programmare sull’Ipad”. Ricordo di essere rimasto di stucco e di aver fatto una risata di circostanza. Ecco quello che mi fa paura, non la tecnologia, ma che la tecnologia crei un modo silenzioso e con emozioni standard. “Oh, Miky, dai che sono quasi le 2:00, dai che è tardi”. La terrina è vuota, la pancia è bella piena, mi giro per riguardare quei due bimbi ancora incollati al tablet. Mi chiedo se riusciremo mai a essere padroni della nostra vita o se il consumismo e la società dell’apparenza l'avrà sempre vinta su di noi.

3 commenti:

ivano.ph ha detto...

bellissimo :-) MI PIACE

maggie ha detto...

Un'ipnosi collettiva...un incubo.
L'importante per i genitori è 'abbioccare' i figli o davanti allo schermo tv o al tablet...si preparano le future generazioni di zombie senza sentimenti.
Condivido lo sconforto.
(e ora vado a dimostrare di non essere un robot, sigh)

Michele Cogno ha detto...

@ maggie: il messaggio che volevo lasciare è che la tecnologia non è buona o cattiva....va imparata per poterla padroneggiare, va studiata e capita per trovarne i lati positivi e negativi....quello che vedo io è che per tante persone la tecnologia ingabbia la mente. Io ho usato la tv, il gameboy e i primi pc per giocare....non lo considero negativo, anzi. Ma ho avuto anche molto altro, per esempio lo sport, gli amici ecc ecc e poi due genitori che controllavano quello che facevo col pc e che mi davano regole precise e ferree (tempi, modi) per il suo utilizzo. Quello che non possiamo fare è lasciare che siano pubblicità e consumismo a dettare il nostro mondo.